Mattarella dà più tempo ma avrà l’ultima parola su Ue, alleanze e squadra
Già prima di mezzogiorno, senza attendere il gong delle ore 17, Di Maio e Salvini hanno fatto sapere al Colle che tutto procede, il macigno Berlusconi è stato rimosso e pure l’altro ostacolo (chi farà il premier) verrà presto superato. Alla luce dei passi avanti, hanno domandato altri tre giorni di tempo per concludere le trattative. Domenica faranno sapere se l’accordo Cinque Stelle-Lega è andato a buon fine e Mattarella, ancora una volta, ha detto: «Va bene, aspettiamo».
Per evitare tensioni, basterà seguire la normale prassi degli ultimi 70 anni. Che prevede i passaggi seguenti: lunedì, al massimo martedì, Mattarella consulterà le delegazioni della futura maggioranza. Dunque non Forza Italia, che fa riservatamente sapere di sentirsi all’opposizione (si asterrà inizialmente per cortesia solo se il premier sarà Salvini, altrimenti direttamente voto contrario sulla fiducia). Alla luce di quanto Cinque Stelle e Lega vorranno comunicargli, il Presidente conferirà un incarico «con riserva», cioè con l’impegno di venirgli a riferire entro tot giorni. L’incaricata (o incaricato) terrà le sue consultazioni, e tornerà da Mattarella con una lista di ministri su cui decideranno insieme. Esiste infatti un articolo della Costituzione, il 92, che al secondo comma recita: «Il Presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri». Uno propone e l’altro, se è d’accordo, accetta. In caso contrario, nessuno lo può obbligare. Così si regolò Scalfaro nel ’94, quando Berlusconi voleva mettere Previti alla Giustizia.
Ulteriori articoli da tenere a mente sono l’81 (che fissa l’obbligo del bilancio pubblico in pari) ma soprattutto l’11 e il 117 comma uno. Stabiliscono che i patti internazionali vanno rispettati, e se nel programma grillo-leghista fosse promesso cambio di alleanze, basta Trump e avanti Putin, in quel caso il Presidente (segnala Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato Pd) avrebbe un preciso dovere di obiettare. Forse per questo il discorso di ieri a Firenze, in cui Mattarella ha condannato senza mezzi termini i «sovranismi» in quanto ingannevoli, e i loro obiettivi perché inattuabili, è stato inteso dai negoziatori giallo-verdi come un colpo di avvertimento o, con più garbo, come un invito a restare nel solco della nostra politica estera e di difesa.
Sempre Scalfaro, e sempre nel maggio ’94, scrisse addirittura una lettera al quasi premier Berlusconi in cui piantava alcuni paletti tra cui il seguente: «Coloro ai quali Ella riterrà di affidare responsabilità attinenti alla Politica estera dovranno assicurare piena fedeltà alle alleanze, alla politica di unità europea, alla politica di pace». Non risulta che oggi sul Colle abbiano in mente missive del genere, e in fondo l’iniziativa di Scalfaro era sembrata già ai suoi tempi un po’ irrituale. Sono sufficienti le parole di Mattarella quando condanna «una narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili, certa comunque di poterne addossare l’impraticabilità all’Unione». Non è un siluro al governo che potrebbe nascere, oltretutto il discorso era stato preparato giorni fa. Ma per chi naviga resta comunque un avviso prezioso.
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