“Vuol fare il premier”, il sospetto su Di Maio complica la trattativa
Tutti, tranne Luigi Di Maio, dicono che Luigi Di Maio voglia fare il premier. Lo dicono, da giorni, diversi leghisti, e lo dice chiaramente Giorgia Meloni, infuriata dopo l’incontro avuto con il leader grillino: «Ha chiesto il sostegno di Fratelli d’Italia a una premiership sua o di un altro esponente del M5S in cambio di un via libera a un nostro ingresso nel governo. Ho detto di no e lui ha risposto che in tal caso porrebbe un veto alla nostra presenza». Ma ad aver scatenato la reazione di Meloni non è stato tanto il contenuto del colloquio, quanto la dichiarazione successiva di Di Maio: «Le ho voluto spiegare per cortesia perché il contratto di governo deve essere solo tra M5S e Lega».
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Il sospetto che Di Maio fino in fondo non abbia rinunciato alla speranza della premiership sta irritando anche la Lega e complicando molto le trattative. Al punto che al Quirinale è stato chiesto più tempo. «Qualche giorno in più» conferma il leader del M5S.
Oggi il tavolo si trasferisce a Milano, capitale del Nord e territorio leghista. Appuntamento al Pirellone, al piano dei consiglieri regionali del M5S. Si vedranno Di Maio e Salvini, e si ritroveranno anche gli sherpa che stanno lavorando alla composizione del programma. Il caso Ilva piomba a complicare un incastro che a sentire il M5S è «avviato all’80%». I leghisti sono per la difesa dell’acciaio e della fabbrica, i grillini – che in Puglia hanno raggiunto vette di consenso quasi bulgare – sono per la riconversione.
Una questione che li divide prima ancora che nasca l’esecutivo giallo-verde. Ma i nodi e i veti sono ben altri. E li ha presenti Salvini, che ieri, a differenza di Di Maio, ha lasciato Montecitorio livido in volto e senza fare una dichiarazione. I suoi deputati di fiducia gli sussurrano di stare attento, che il grillino vorrebbe far cadere un petalo dopo l’altro per costringere la Lega ad accettare il suo nome, «certamente più gradito al Colle». Ecco perché starebbero spingendo perché sia lui a riproporsi come premier. Un’assicurazione di sopravvivenza, visto che Salvini a Palazzo Chigi sarebbe un lasciapassare anche per Fdi e i suoi 18 senatori, fondamentali per irrobustire la fragile maggioranza in Senato.
Dall’elenco sarebbero stati espunti i nomi dell’ex presidente Istat, Roberto Giovannini, e del presidente di Fincantieri, l’ambasciatore Giampiero Massolo, una scelta che resta però in gioco per il ministero degli Esteri. L’unica traccia che filtra dai due partiti è che il premier dovrebbe essere un «tecnico-politico».
«Non del solito establishment» dicono nella Lega. Un limite che invece non si pone il M5S, il quale, avendo sempre a cuore l’opinione di Mattarella, non disdegna di buttare un occhio nella lista di nomi emersi per il governo cosiddetto «neutrale» del presidente. Quello che nascerà se Lega e M5S dovessero fallire. In tal senso, non ha ancora esaurito le sue chance la segretaria generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, mentre tra i 5 Stelle c’è chi suggerisce Giacinto Della Cananea, il prof che ha cercato la convergenza dei temi per un contratto alla tedesca che oggi ancora non c’è. Alla Difesa – vista la rottura con FdI – salta l’ipotesi di Guido Crosetto.
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