Draghi: i mercati penalizzano i Paesi vulnerabili
La frase la butta lì, in un ampio ragionamento su come rafforzare l’Unione. «I mercati possono penalizzare i Paesi percepiti come vulnerabili, persino più di quanto necessario a rimettere i conti pubblici in ordine». E «poiché in molti Paesi il settore pubblico vale metà dell’economia, i timori di una crisi del debito possono avere effetti drammatici sulla fiducia». Oltre che sulla crescita. Non è difficile capire a chi pensasse Mario Draghi quando si è preparato il testo del discorso di ieri a Firenze. Il convegno si intitola «Lo Stato dell’Unione», in realtà in sala a Palazzo Vecchio tutti si chiedono come stia l’Italia, perché molto dipenderà da questo. Mentre Matteo Salvini e Luigi Di Maio discutono di chi nominare premier, mentre le cronache si riempiono delle ipotesi – spesso improbabili – su quel che il governo giallo-verde farà o non farà, il presidente della Bce ricorda che l’Europa dell’euro è tuttora una creatura «fragile». Meno di quanto lo fosse nel 2011, abbastanza perché qualcuno riesca a mandarla in pezzi senza un perché.
Come andrebbe rafforzata l’Unione? Poiché manca poco più di un mese al vertice dei Capi di Stato decisivo per la riforma dell’eurozona e il negoziato fra Merkel e Macron è nel vivo, Draghi manda messaggi qua e là per le capitali. Il primo lo spedisce a Roma. «Le riforme strutturali a livello nazionale restano una priorità», perché «come dimostra l’esperienza degli ultimi vent’anni danno una spinta a una crescita solida e reale».
Il secondo messaggio è diretto a Berlino: «In Europa occorre una maggiore condivisione dei rischi» attraverso un «maggiore bilancio comune». La trattativa sul prossimo quinquennio sarà lunga, e Paolo Gentiloni dice chiaramente che un accordo prima delle elezioni europee del prossimo giugno «è improbabile». Un bilancio comune più forte dunque, ma per farci cosa? Per affrontare una crisi finanziaria, dice ad esempio Draghi: «Manca ancora un sostegno pubblico per il Fondo unico di liquidazione delle banche».
Il presidente Bce ci tiene a sottolineare di «non voler scaricare il costo dei salvataggi sui contribuenti», ma evitare crisi di fiducia generalizzate. «È quel che accade normalmente in Giappone, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti», dove «i trasferimenti fra gli Stati attraverso il bilancio federale assorbono circa il dieci per cento delle crisi». Insomma, nonostante i segnali degli ultimi mesi dalle urne, Draghi è convinto che l’Unione stia meglio di quanto si pensi, anche nella testa dei cittadini europei: «Tre quarti sono a favore della moneta unica, dopo democrazia e libertà è l’elemento identitario più importante». Gentiloni annuisce: «Chi volesse portare l’Italia lontano dall’Europa farebbe un torto alla sua storia» e «alla stragrande maggioranza dei cittadini». Ciò va fatto – dice il premier – perché Roma possa continuare a lottare dentro l’Unione anche quando l’Unione sbaglia, come nel caso della gestione dei flussi migratori.
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