Ecco il contratto di governo ma sui punti più spinosi decidono Salvini e Di Maio

francesca schianchi
roma

Fuori i riferimenti all’uscita dall’euro, dentro i vaccini, con la raccomandazione di garantire «il giusto equilibrio tra diritto all’istruzione e diritto alla salute». Nelle 39 pagine del «contratto di governo» – definito dagli sherpa di Lega e M5S, ma ancora in sospeso su alcuni punti, i più spinosi, affidati alla mediazione dei due leader in un vertice serale – spuntano nuovi argomenti e ne vengono esclusi altri, come lo studio delle procedure per abbandonare la moneta unica o lo sconto di 250 miliardi di debito pubblico, proposte capaci, solo a ventilarle, di mandare in fibrillazione mercati ed Europa. Un’evoluzione continua che è la ragione per cui il capo dello Stato, nonostante abbia ricevuto una prima bozza già lunedì scorso, non ha ancora letto i contenuti e, filtra dal Quirinale, aspetta di poter consultare la versione definitiva. Insieme al tanto atteso nome del premier.

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«Il governo del M5S? Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma accadrà», assicura il fondatore del Movimento, Beppe Grillo, in un’intervista a Newsweek. Le squadre di esponenti stellati e leghisti si ritrovano a Montecitorio e proseguono nel delicato lavoro di mediazione: a sera, ancora sette o otto passaggi restano evidenziati in rosso, segno che devono ancora essere rivisti e decisi da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Non molti ma relativi ad argomenti importanti, quelli su cui fin da subito i due partiti hanno registrato differenze: tra questi, le aliquote della flat tax e la proposta leghista di mettere un tempo massimo di due anni al reddito di cittadinanza, la riforma della prescrizione, la proposta di un Cie in ogni regione, l’idea di una normativa sulle moschee o ancora l’impegno a «sospendere i lavori esecutivi e ridiscutere integralmente il progetto» della Tav.

 

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«I punti di convergenza sono tanti, il risultato è estremamente positivo», si mostra ottimista alla fine uno dei presenti al tavolo, il grillino Alfonso Bonafede. Ora manca il sigillo dei due leader, prima che il risultato del lavoro svolto vada al voto sulla piattaforma Rousseau per i Cinque stelle e nei gazebo della Lega, questo weekend. Intanto, chi boccia già il «contratto», pur nella sua versione non definitiva, è Giorgia Meloni: «Non si parla di Patria: è un documento giallo-verde in cui non c’è posto per il tricolore».

 

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