Il premier andrà al Movimento 5 Stelle. Rosa di 5 nomi, ma si punta su Di Maio
Una cosa sembra ormai certa: il premier andrà al M5S. È il compromesso ottenuto dopo venti giorni di trattative tra 5 Stelle e Lega: in cambio il Carroccio strappa il ministero dell’Interno e con molta probabilità il sottosegretariato a Palazzo Chigi con delega ai servizi. Di fatto, il cuore della sicurezza dell’intero Paese.
Ecco cosa sta avvenendo ora per la premiership: il M5S ha fatto circolare una rosa di quattro nomi proposti ai leghisti: i deputati Alfonso Bonafede, Fraccaro (già eletto questore alla Camera) e i senatori Vito Crimi e Danilo Toninelli (capogruppo). Sono tutti parlamentari di provata fedeltà a Di Maio ma figure troppo deboli per Salvini. La Lega ha controproposto, come alternativa ma sempre grillina, Emilio Carelli, ex direttore di Sky Tg24 e responsabile delle relazioni istituzionali del ramo italiano del network di Rupert Murdoch. Acquisto recente della famiglia grillina, Carelli che si è formato a Mediaset e ha ottimi rapporti con Gianni Letta, sarebbe l’opzione meno sgradita a Silvio Berlusconi.
In realtà, a sentire i vertici del M5S è quasi impossibile vedere Carelli a Palazzo Chigi. Per lo stesso motivo per il quale sarebbe improbabile che la scelta ricadesse su Vincenzo Spadafora: il gruppo storico del Movimento si spaccherebbe. Lo dimostra l’agitazione che si percepiva ieri e quello che sussurrano diversi deputati: «Sono entrati nel M5S l’altro ieri, dai…».
Tra i grillini si punta segretamente su Di Maio, con la speranza che alla fine la Lega ceda davvero, anche se qualche resistenza c’è ancora. Ieri l’ultimo summit segreto tra i due leader è durato oltre tre ore. Hanno parlato di premier e di ministri. Matteo Salvini esulta perché sente che il suo nome non è più un problema per il ministero dell’Interno. Conferma che «un leghista al Viminale sarebbe una garanzia per rimpatri ed espulsioni». Sta attento, però, a non esporre se stesso, prudente fino all’ultimo. Anche perché in gioco ci sono altre poltrone importanti per la Lega: Agricoltura, Trasporti e Sviluppo economico. Vorrebbero anche l’Economia, ma il Quirinale ha chiesto di condividere la scelta del Tesoro, della Difesa e degli Esteri.
Sembra perciò in bilico la candidatura naturale del leghista Giancarlo Giorgetti al ministero di Via XX Settembre. Potrà comunque consolarsi con la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi, una posizione di primissimo piano. Per l’Economia, il Colle vorrebbe un nome esterno ai due partiti, una figura tecnica e competente, come da tradizione negli ultimi anni, anche per rassicurare i partner europei e i mercati. Stesso discorso per la Farnesina, dove torna in pista Giampiero Massolo, l’ex ambasciatore sondato nei giorni scorsi anche per Palazzo Chigi.
La scelta dei ministri sarà condizionata da alcuni vincoli fissati nero su bianco sul contratto: non potrà esserlo chi ha rapporti con la massoneria, chi è stato condannato o indagato per reati gravi. Oggi Salvini e Di Maio metteranno la loro firma sulla versione finale del programma. Nel fine settimane verrà sottoposto al giudizio dei gazebo di M5S e Lega. I grillini, infine, daranno l’ultima parola agli iscritti della piattaforma Rousseau.
L’impressione che si respirava ieri a Montecitorio era di avercela quasi fatta. Bastava osservare la faccia distesa di Di Maio. Anche se i protagonisti di questa storia si compattano in un’ossessiva sensazione di assedio. Il crollo della Borsa, i moniti dell’Ue, lo spread che schizza scatenano Salvini e il redivivo Alessandro Di Battista, che ancora non ha preso il volo per San Francisco: «A quanto pare i fantomatici mercati sono tornati a farsi sentire. Mi rivolgo ai parlamentari del M5S e della Lega. Siate patrioti! Non emissari del capitalismo finanziario».
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