Ecco cosa non abbiamo votato ma che ci sarà nel programma Lega-M5s
Dalla deriva giustizialista alla distorsione della flat tax e ai tagli “d’oro” alle pensioni. Ecco che cosa non abbiamo votato e ci ritroveremo nel programma:
Il comitato dei leader per sanare i contrasti
Comitato di conciliazione che dirime conflitti tra i partiti della maggioranza.
Un organismo politico poco liberale, piazzato in apertura di contratto da M5s e Lega Nord. Sarà comporto dal premier, dai leader dei pentastellati e della Lega, dai capigruppo in parlamento e, di volta in volta, dal ministro competente. Servirà a dirimere i conflitti e le divergenze rilevanti o per decidere su tematiche che non fanno parte del contratto.
Il contratto introduce anche un codice etico dei membri del governo. In sostanza, non può diventare ministri, sottosegretari o presidenti del Consiglio, chi ha «riportato condanne penali, anche non definitive», per reati dolosi previsti dalla legge Severino. Chi è «a conoscenza di indagini o siano sotto processo per reati gravi (ad esempio: mafia, corruzione, concussione, etc.)». Strada sbarrata anche per iscritti alla massoneria o chi si trovi in «conflitto di interessi con la materia oggetto», del suo ministero.
L’apertura alla Russia “partner Nato e Ue”
Fedeltà all’alleanza atlantica. Ma nel contratto di governo c’è anche una consistente apertura alla Russia, che non è presente nel programma del centrodestra. Cardine della politica estera della coalizione gialloverde è la difesa degli interessi nazionali e il «principio di non ingerenza negli affari interni dei singoli Stati». Quindi, «si conferma l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale».
Più nel dettaglio il contratto propone «il ritiro immediato delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)». Mosca è «un potenziale partner per la Nato e per l’Ue» soprattutto «nel Mediterraneo» dove «si addensano più fattori di instabilità quali: estremismo islamico, flussi migratori incontrollati».
Distorta la flat tax. Tagli “d’oro” alle pensioni
La proposta di bandiera del Movimento cinque stelle è un po’ il simbolo delle differenze tra una maggioranza di centrodestra e quella gialloverde che sta nascendo. Il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese. Il contratto specifica che sarà «parametrato» sui nuclei familiari più numerosi. Presuppone un «impegno attivo del beneficiario» a cercare e ad accettare lavoro, che potrà rifiutare «massimo tre proposte nell’arco temporale di due anni». Costo complessivo, 17 miliardi all’anno. Molto difficili da coprire finanziariamente così come la flat tax a due aliquote del 15 e del 20% per cittadini, partite Iva e imprese.
Distanze siderali con il centrodestra sul taglio delle «pensioni d’oro» sopra i 5.000 euro netti. Misura distante anche dalle posizioni classiche della Lega, sempre in difesa dei pensionati. Molto di sinistra anche la proposta del salario minimo orario stabilito per legge e la fine dell’apprendistato gratuito per le libere professioni.
Più toghe nel Csm e agenti provocatori
Le distanze tra maggioranza giallo verde e centrodestra diventano siderali sulla giustizia. La mano del Movimento 5 stelle si sente nella richiesta della riforma del Csm. L’intenzione è quella di depotenziare i componenti laici, quelli eletti dal parlamento, per «rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie in seno all’organo di autogoverno della magistratura». Il principio guida è quello di accentuare l’autonomia della magistratura. Dalla parte dei magistrati anche come categoria, con il superamento della riforma del 2012 che ha centralizzato i distretti e con la promessa di rivedere stipendi e pensioni delle toghe. Poi una «seria riforma della prescrizione» per evitare che «l’allungamento del processo possa rappresentare il presupposto di una» giustizia negata. Poi via libera all’uso degli agenti provocatori, per stanare i corrotti nella pubblica amministrazione. Di iniziativa leghista la «chiusura dei campi nomadi irregolari» in attuazione delle direttive comunitarie.
Le banche salvate a spese di Pantalone
Un capitoletto del contratto è dedicato alla tutela del risparmio. Che in realtà sarebbe materia europea. In particolare si prende di mira il bail in, cioè il salvataggio a spese di azionisti, obbligazionisti e correntisti degli istituti bancari. «Occorre rivedere radicalmente tali disposizioni», in particolar modo «responsabilizzare maggiormente sia il management che le autorità di controllo». I salvataggi devono essere attuati con «l’utilizzo effettivo» di «polizze dormienti». Poi occorre risarcire i «piccoli azionisti» delle banche oggetto di risoluzione. In sostanza, i salvataggi devono rimanere a carico della collettività, in un modo o nell’altro. Poi, «ridiscutere i «parametri dei protocolli di rating di Basilea», che comportano la stretta sul credito. Un passaggio è dedicato al Monte dei Paschi, e si annuncia che lo «Stato azionista deve provvedere alla ridefinizione della mission e degli obiettivi dell’istituto di credito in un’ottica di servizio». Una banca sempre più statale, quindi.
Referendum “no quorum” come in Svizzera
Un capitolo dedicato alle riforme istituzionali, ma non a quella elettorale. La maggioranza gialloverde vuole dimezzare il numero dei parlamentari portando i deputati a 400 e i senatori a 200. Da riformare anche l’istituto del referendum, prendendo esempio dalla Svizzera. Quindi, cancellazione della «quorum strutturale – ovvero la necessità della partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto – al fine di rendere efficace e cogente l’istituto referendario». In sostanza, i risultati dei referendum abrogativi avranno effetto anche se andrà a votare una risicata minoranza di elettori. Tra le riforme nell’agenda del governo nascente, l’istituzione del referendum «propositivo», un «mezzo volto a trasformare in legge proposte avanzate dai cittadini e votate dagli stessi». E l’obbligo del Parlamento a pronunciarsi sui disegni di legge di iniziativa popolare, che oggi sono effettivamente ignorati da deputati e senatori, anche se previsti dalla Costituzione.
IL GIORNALE
This entry was posted on venerdì, Maggio 18th, 2018 at 08:24 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.