Perché il contratto non basta

Gli accordi scritti fra partiti che si apprestano a governare insieme sono la norma in Europa. È stato anche dimostrato che la presenza di patti formalizzati contribuisce alla governabilità. Il modo in cui i patti di coalizione vengono costruiti, la preparazione di chi li redige, la coerenza del percorso e i messaggi più o meno diretti che lo accompagnano sono però la cartina di tornasole cui bisogna prestare attenzione. Soprattutto quando i leader contraenti sono «uomini nuovi», privi di esperienza di governo.

L’amalgama di euro-scetticismo, sovranismo, irresponsabilità fiscale, ambiguità internazionale che ha fatto da sfondo alle campagne elettorali della Lega e dei Cinque Stelle non si era mai vista in Europa, men che meno come punto di partenza per una trattativa di governo. Gli annunci su una possibile uscita dall’euro o sull’abrogazione di quote del debito pubblico nonché la ridda di denunce contro i «giochini dello spread» o gli «eurocrati non eletti da nessuno» hanno tenuto per giorni con il fiato sospeso i nostri partner e i famosi «mercati», nonché moltissimi italiani. Il testo attuale del contratto ha ammorbidito i toni e riformulato le proposte più eterodosse ed aggressive nei confronti della Ue. Anche se non più presentate come minacce di azioni unilaterali, restano tuttavia richieste pesanti e del tutto irrealistiche come la revisione completa del Patto di Stabilità, del Fiscal compact, dello statuto della Bce e dell’intero sistema di governance dell’Eurozona. Come se non bastasse, è su questo tipo di riforme che si punta per finanziare — in deficit — decine di miliardi di nuove spese.

Di Maio e Salvini vogliono formare un «governo del cambiamento». Per il bene di chi, esattamente? Dei «cittadini» e dei loro «bisogni», questo è il mantra che si ripete da settimane. Nessuno nega che Cinque Stelle e Lega abbiano ricevuto due mandati da quote di elettori che, sommate, fanno la maggioranza. Resta il fatto che circa il 49% dei cittadini non li ha votati, evidentemente ritenendo che i programmi dei due partiti non rispondessero ai loro bisogni. I governi devono, sì, rispondere alla propria maggioranza (che tuttavia non è mai un blocco coeso e monolitico), ma sono al tempo stesso tenuti a esercitare responsabilità nei confronti di tutti. La democrazia liberale è stata inventata proprio per evitare la «tirannia delle maggioranze», come la chiamava Tocqueville. L’appartenenza alla Ue (e dunque all’euro, che non prevede opzioni di uscita) e il pareggio di bilancio stanno nella nostra Costituzione. Ciò non significa che l’Italia non possa proporre delle modifiche alle politiche di Bruxelles, ci mancherebbe. Alcune delle proposte incluse nel contratto sono più che ragionevoli. Ma un governo di coalizione senza esperienza dovrebbe capire che il rovesciamento dell’attuale assetto istituzionale europeo non rientra nelle proprie disponibilità politiche, né a Roma né a Bruxelles.

Nell’Europa di oggi, l’attività di governo è un esercizio continuo di equilibrismo nei confronti di molteplici «pubblici» rilevanti per mantenere stabilità e legittimità: gli elettori (quelli propri e quelli dei concorrenti), gli altri governi Ue e le loro opinioni pubbliche, le istituzioni sovranazionali, i mercati. Questi ultimi non sono gnomi malevoli, ma istituzioni finanziarie che hanno comprato titoli di debito emessi dalla Repubblica Italiana, la quale si è impegnata a ripagarli. Dietro queste istituzioni ci sono «popoli» di risparmiatori e investitori che si sono fidati di noi. Le loro aspettative e ragioni non possono essere ignorate, sennò finiamo in bancarotta.

Un governo Lega-Cinque Stelle saprà dar prova sia di equilibrio sia di equilibrismo? «Cambiamento» è una parola neutra. Può significare miglioramento, ma anche peggioramento. Tutto dipende dal senso di responsabilità delle persone. I tanti candidati al ruolo di premier di cui abbiamo sentito parlare negli ultimi giorni non sono intercambiabili. I contratti di coalizione sono dei pezzi di carta, per attuarli servono persone con competenza, esperienza, leadership. Per nostra fortuna, sarà il Presidente della Repubblica a svolgere il delicatissimo compito di vagliare le persone. E, ovviamente, di vigilare sul rispetto rigoroso della Costituzione.

CORRIERE.IT

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