Il “libro dei sogni” tra formule vuote e coperture creative
Contratto ultimato, ma ancora nessuna chiarezza sul come si troveranno i soldi per finanziare i progetti di M5S e Lega.
Ieri è stata ufficializzata la versione definitiva del programma di governo giallo-verde ed è stato ancora più chiaro quanto il problema resti quello delle coperture. L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha confermato le cifre circolate in questi giorni.
Le misure contenute nel contratto hanno costi compresi tra 108,7 e 125,7 miliardi, mentre le coperture indicate arrivano appena a 550 milioni di euro. Quanto sia sentito il problema dei costi lo dimostra il fatto che nella versione definitiva sono scomparse alcune indicazioni dei costi delle misure principali. Sono sopravvissuti i 5 miliardi di euro dello stop alla riforma delle pensioni di Fornero. Nessun cenno a quanto servirà per le misure fiscali né per il reddito di cittadinanza (780 euro al mese) che nelle bozza era stato prezzato per 17 miliardi di euro.
Per finanziarlo, almeno in parte, la maggioranza conta di aprire un dialogo con l’Unione europea per farci confluire il 20% delle risorse del Fondo Sociale europeo. Quindi poco meno di 1,5 miliardi dovrebbero venire dall’Europa.
Dalla stessa Europa alla quale M5S e Lega nel documento finale riservano un trattamento un po’ meno duro rispetto alle bozze. Non c’è la richiesta alla Bce di cancellare 250 miliardi di euro di debito. C’è l’invito a tornare al trattato di Maastricht, quindi prima degli accordi sui conti pubblici attualmente in vigore. Infatti, sul deficit la maggioranza giallo-verde prevede «la ridiscussione dei Trattati dell’Ue» per ottenere una programmazione pluriennale. E «limitato ricorso al deficit».
Insomma, sembra emergere la volontà di rispettare il parametro del deficit al 3% del Pil. Non gli impegni a raggiungere in poco tempo il pareggio di bilancio e assicurare una correzione dei conti e il rientro del debito pubblico. Debito che deve essere abbattuto, non con «tasse e austerità», ma con la crescita.
Tra le novità sul fisco, scompare la flat tax per le imprese. Per le aziende varrà il sistema a due aliquote, 15 e 20% come per le famiglie.
Molto è lasciato all’interpretazione, perché le formule del contratto sono molto vaghe. C’è il «contrasto della precarietà, causata anche dal jobs act». Un premessa che fa pensare a un ritorno all’articolo 18.
Temi poco leghisti, insomma. Qualche concessione a Matteo Salvini sul fronte dei campi nomadi. Vanno chiusi quelli irregolari, ma c’è anche «il pieno superamento dei campi Rom in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea».
I capisaldi del contratto restano tutti. C’è la riforma della legge Fornero sulle pensioni, con quota 100, la proroga di opzione donna, ma anche il taglio alle pensioni d’oro «superiori ai 5.000 euro netti mensili, non giustificate dai contributi versati».
Non c’è più lo stop all’Alta velocità Torino Lione, ma anche qui ricompare una formula abbastanza vaga da accontentare tutti: la volontà d «ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia».
Su Alitalia che non deve essere salvata «in un’ottica di mera sopravvivenza economica bensì rilanciata, nell’ambito di un piano strategico nazionale dei trasporti». Quindi salvata. Per l’Ilva l’impegno«dopo trent’anni, a concretizzare i criteri di salvaguardia ambientale, secondo i migliori standard» promuovendo «lo sviluppo industriale del Sud». Resta anche il conflitto di interessi, in una formulazione vaga. Comunque un’arma pronta a scattare, magari contro avversari e concorrenti.
Una cornice abbastanza ampia da potere contenere partiti diversi come M5S e Lega.
IL GIORNALE