Il crocevia dell’Italia giallo-verde
maurizio molinari
L’accordo sul contratto di governo fra Cinquestelle e Lega rende possibile la nascita del primo esecutivo espressione in Italia di forze politiche anti-sistema. E ciò pone il nostro Paese di fronte a opportunità e rischi che investono la vita di milioni di famiglie e scuotono l’Europa.
Le opportunità hanno a che vedere con la lotta alle diseguaglianze. Possono esserci pochi dubbi sul fatto che all’origine del voto di drammatica protesta del 4 marzo vi sono i disagi economici e sociali che flagellano il ceto medio. Si tratta di una ferita che viene dagli squilibri della globalizzazione, comprende disoccupazione e mancanza di aspettative verso il futuro, è alimentata da corruzione e burocrazia, indebolisce le periferie, spinge i giovani ad emigrare e non può essere combattuta solo con ricette economiche di tipo tradizionale.
I partiti che hanno governato l’Italia nell’ultimo quarto di secolo, di centrodestra come di centrosinistra, hanno sottovalutato le diseguaglianze, non le hanno considerate una minaccia e dunque sono stati severamente puniti alle ultime elezioni. Cinquestelle e Lega hanno intercettato ed espresso tale scontento – che non ha manifestazioni omogenee in diverse aree geografiche – e dunque hanno adesso l’opportunità di dargli una risposta innovativa. Se riusciranno a farlo consolideranno il rapporto con un nuovo tipo di elettorato e potranno dare un contributo di valore alla rinascita delle aspettative collettive.
Per affrontare questa sfida le ricette economiche sono necessarie ma non sufficienti perché non si tratta solo di creare potere di acquisto e lavoro, bisogna garantire protezione dal disagio. E una strada per farlo è aumentare la protezione dei diritti. Perché più diritti vi sono, più una società si rafforza, consolida e riesce a crescere. Le democrazie avanzate hanno bisogno di più diritti per fronteggiare le loro trasformazioni interne. Diritti per gli studenti alla sfida con le nuove tecnologie, per i lavoratori in competizione con i robot, per le famiglie con l’ambizione di una vita migliore, per gli anziani e i disabili privi di servizi, per i migranti che vogliono integrarsi. Si tratta di ricostruire dal di dentro un tessuto sociale lacerato: è un passaggio difficile, temibile che accomuna l’Italia ad altre nazioni dell’Occidente e può essere affrontato, forse con significative possibilità di successo, da forze politiche non tradizionali, espressioni della rivolta.
Ma proprio perché i vincitori del 4 marzo esprimono la protesta vi sono dei rischi. Ovvero che anziché costruire, prevalga la volontà di demolire. Non solo l’amministrazione pubblica, leggi, regolamenti e istituzioni ma i valori fondanti della Repubblica che accomunano il nostro Paese ai partner europei e atlantici. Nel linguaggio politico che accompagna la narrazione della protesta l’ostilità all’Europa, alla società globale, al libero mercato, alle diversità si affaccia spesso con termini e toni segnati da una virulenza che travolge il confine della tolleranza per il prossimo, chiunque egli sia. È qui che alligna il pericolo più grande ovvero che la protesta si trasformi in una caccia al nemico, interno o esterno, alimentandosi con l’ostilità verso chiunque abbia idee e identità differenti.
Il bivio che hanno davanti i contraenti del contratto giallo-verde non potrebbe essere più chiaro, lampante: indirizzare la rivolta dei cittadini verso la sconfitta delle diseguaglianze per rendere l’Italia un Paese migliore oppure farsi guidare dagli istinti più primitivi congeniti alla medesima rivolta per demolire istituzioni e valori della Repubblica. L’opportunità di costruire è grande quanto il rischio di distruggere. Riuscendo a cogliere la prima l’Italia può diventare un laboratorio di innovazioni in Europa, cadendo nel secondo finirebbe ai margini dell’Occidente. A fare la differenza saranno le decisioni prese da chi guiderà il governo giallo-verde.
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