L’errore del patto mai stipulato
Anche le persone intelligenti sono capaci di fare cose sciocche. Chissà se Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, i due sconfitti delle ultime elezioni, si rendono conto di quanto sia stato grande l’errore che commisero quando ebbero la possibilità di fare (insieme) una buona legge elettorale e buttarono via l’occasione: persero un treno che forse non ripasserà più. Sono certamente molti quelli pronti ad addurre «ben altre» ragioni per spiegare la nostra attuale situazione. Sono molti quelli pronti a dimostrarci che ci sono cause più importanti di una malfatta legge elettorale. C’è molto di vero in ciò che dicono i teorici del «ben altro». Le cause in virtù delle quali oggi sembra che l’«antisistema» sia sul punto di cucinarsi e di mangiarsi il «sistema» sono molte: alcune sono nuove e contingenti, altre sono dovute a persistenze storiche, sono il prodotto dell’esasperazione di mali antichi. Tra le cause contingenti c’è il fatto che, finita una decennale crisi economica, l’Italia non sia ancora riuscita a recuperare i livelli di ricchezza e di benessere pre- crisi, o, ancora, l’impatto sulla psicologia collettiva dell’immigrazione, o l’emergere di spinte centrifughe all’interno dell’Unione Europea, l’arresto del processo di integrazione sovranazionale.
I mali antichi sono molti: ad esempio, la tradizionale fragilità delle istituzioni pubbliche (da sempre deboli perché da sempre percepite da tanti come non autorevoli, inefficienti, «corrotte», eccetera), un generalizzato disprezzo per la politica che viene da lontano («Piove governo ladro» non è un detto di nuovissimo conio), una diffusa ideologia statalista (per la quale, contraddittoriamente, è da quello stesso Stato che si disprezza che ci si aspetta la soluzione di ogni problema) o un’altrettanto diffusa avversione per le garanzie di libertà personale (che spiega, ad esempio, perché sono sempre molte di più le reazioni negative alle sentenze di assoluzione che a quelle di condanna). Si aggiungano il tradizionale provincialismo (il disinteresse non solo dell’opinione pubblica ma anche di certi settori della classe dirigente per quanto accade fuori d’Italia) o un’antica avversione per la scienza, amplificata e aggravata dalla crisi del sistema educativo (da dove deriverebbe, altrimenti, la campagna antivaccini?). Insomma, le ragioni che spiegano dove siamo e perché siamo qua sono molte. Ma una volta dato a Cesare quel che è di Cesare e ai benaltristi ciò che è dei benaltristi, non è possibile negare che un consistente «aiutino» lo abbia dato anche la legge elettorale. I sistemi elettorali organizzano e strutturano l’offerta politica e il modo in cui è strutturata l’offerta politica influenza il comportamento degli elettori.
L’errore — drammatico, per le conseguenze che ha avuto — che Renzi e Berlusconi commisero fu quello di non capire che l’estremismo montante non si può sconfiggere a colpi di proporzionale. Per batterlo occorre ricorrere a una qualche variante del sistema maggioritario. Il fatto che ciò non sia immediatamente intuitivo, il fatto che, anzi, si sia naturalmente portati a pensare il contrario, non rendono meno vera la suddetta affermazione. I due persero preziose occasioni. Renzi, quando era ancora all’apice della sua potenza, anziché imporre al Parlamento una legge maggioritaria scelse un pessimo sistema — il cosiddetto Italicum — di impianto proporzionale anche se corretto dal premio di maggioranza e dal ballottaggio. Bastò che la Corte costituzionale eliminasse il ballottaggio perché ci ritrovassimo addosso una legge proporzionale e basta. Berlusconi, a sua volta, si era abbarbicato all’idea (sbagliata) secondo cui solo la proporzionale poteva garantire a lui e al suo partito il predominio nel centrodestra. Perse così dapprima l’occasione di spingere Renzi ad adottare un sistema elettorale migliore dell’Italicum e, in seguito, quando si trattò di rimettere le mani sulla materia a causa della sentenza della Corte, puntò di nuovo su una legge prevalentemente proporzionale. Renzi volle la proporzionale per battere i 5 Stelle, Berlusconi la volle per battere la Lega, e tutti e due la vollero per poter fare, dopo le elezioni, un governo insieme, in barba agli estremisti. È accaduto il contrario di ciò che essi volevano.
Anche se è contro-intuitivo il fatto che sia il maggioritario e non la proporzionale il migliore vaccino contro l’estremismo, la storia sta lì a dimostrarlo. Quale sistema elettorale credete che fosse in vigore a Weimar prima che nel 1933 crollasse la democrazia? Il sistema proporzionale per l’appunto. Ma si guardi anche alla lunga storia elettorale dell’America Latina, patria e madre di tutti gli estremismi e quasi sempre afflitta dalla peggiore combinazione istituzionale possibile: presidenzialismi abbinati a leggi elettorali proporzionali. Mentre i sistemi elettorali maggioritari tendono a «sottorappresentare» le estreme, i sistemi proporzionali, per lo più, le esaltano e le sovrarappresentano. Quando vige la proporzionale molti elettori, disorientati e demotivati, immaginano, prima delle elezioni, che non ci saranno chiari vincitori. Tanti potenziali elettori moderati se ne staranno quindi a casa. Il risultato sarà la sovrarappresentazione degli estremisti. Se il sistema è maggioritario e tutti sanno che qualcuno comunque vincerà e qualcuno perderà, ci sarà più facilmente una contro-mobilitazione moderata per bilanciare e, al limite, neutralizzare la mobilitazione estremista. Le probabilità di successo degli estremisti diminuiranno.
Ripasserà quel treno? Temo di no, almeno per un po’. Per la stessa ragione per cui non ci si può scandalizzare di fronte al «programma» di 5 Stelle e Lega (era ingenuo pensare che essi potessero rivelarsi diversi da ciò che sono), è inutile scandalizzarsi per il fatto che chi ha guadagnato di più da una cattiva legge elettorale faccia di tutto per tenersela stretta.
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