Premier non eletto
Il cosiddetto governo del cambiamento parte con la cosa più classica dei recenti inciuci politici, cioè con un premier non eletto, il quinto consecutivo, dopo Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.
Ieri sia Luigi Di Maio sia Matteo Salvini hanno fatto al presidente Mattarella il nome di Giuseppe Conte, uno di quei «professoroni» che i due leader avevano giurato e spergiurato di non volere vedere mai più ai vertici del Paese. Può essere «politico» un governo guidato da un «tecnico»? La logica dice di no, non potrà esserlo a meno che il professor Conte non si pieghi a essere il cameriere dell’anomala e innaturale alleanza che lo sosterrà in Parlamento, in sfregio alla Costituzione e alle prerogative del capo dello Stato.
La buona notizia, credo l’unica della giornata, è che Luigi Di Maio non sarà presidente del Consiglio, come lui ha sperato fino all’ultimo minuto utile. Una magra consolazione con un prezzo altissimo, cioè la dissoluzione di fatto della coalizione che aveva vinto le elezioni. Inutile girarci attorno: con la Lega al governo a tenere il moccolo dei Cinquestelle da una parte, e dall’altra Forza Italia e Fratelli d’Italia all’opposizione, è difficile sostenere che il centrodestra sia vivo e vegeto perché «Berlusconi ha autorizzato Salvini». Le strade dei tre alleati storici a questo punto si separano, se per un tratto o per sempre lo vedremo vivendo.
In queste ore Matteo Salvini, evidentemente preoccupato delle ripercussioni dello strappo, getta acqua sul fuoco con dichiarazioni di assoluto buon senso sullo stato di precarietà provocato dalle ricette economiche e sociali di chi oggi in Europa si dice contrario al governo giallo-verde. Ma il problema non è l’analisi, in gran parte condivisibile, bensì le soluzioni e le risorse per avviarle. E qui dubito che il socio di maggioranza Di Maio gli permetterà, una volta raggiunto l’obiettivo di mettere un suo uomo a Palazzo Chigi, di farsi bello con gli italiani realizzando i sogni leghisti, che al di là del «contratto» non coincidono con quelli pentastellati.
In questa vicenda, giunta a un passo dalla conclusione, ancora troppe cose non tornano, sul piano sia politico sia personale. Mattarella, che alcuni descrivono «irritato per l’atteggiamento di Di Maio e Salvini», a sorpresa si è preso ancora qualche ora per decidere. Speriamo ore benedette.
IL GIORNALE