Le sue critiche all’Europa sempre valide
Superato a parole lo scoglio Conte, non si è, invece, sciolto anche il nodo di Savona che era stato indicato ministro dell’Economia dalla Lega, nonostante i dubbi di molti, a cominciare dal Colle.
Sull’economista sardo posso spendere due parole perché lo conosco bene: nel 2014 Paolo ha anche scritto la prefazione del mio libro-intervista ad Ernesto Preatoni, La vita oltre l’euro. Innanzitutto una considerazione: secondo i canoni molto verdi dei giallo-verdi, il vero e unico «handicap» di Savona è, in realtà, la sua veneranda età (81 anni). Per il resto, vanta il miglior curriculum dei ministri in pectore: capo dell’ufficio studi della Banca d’Italia con Carli governatore, direttore generale di Confindustria con Carli presidente, ministro dell’Industria nel governo Ciampi (un altro ex Bankitalia). Savona è oggi un euroscettico, ma a ragione anche perché i suoi sogni europei di tanti anni fa si sono dimostrati un’utopia: per lui ma anche per molti italiani. Dopo avere contribuito, in un primo tempo, allo sviluppo del club di Bruxelles, dopo il varo della moneta comune, ha dovuto prendere le distanze, come tanti altri, dagli eurocrati.
Le tesi di Savona – che oggi ribadisce in un suo nuovo libro – sono già chiare in quella prefazione dove dava ragione all’imprenditore Preatoni che definiva «euromorbo» l’attaccamento, come scriveva, «ad un’istituzione europea che non funziona come avrebbe dovuto per creare reddito e occupazione» in base ai trattati di Maastricht e Lisbona. Perché la Comunità ha deluso le aspettative? Lui non aveva dubbi: «Dopo un inizio favorevole, ci vengono ora richiesti sacrifici per propiziare una crescita che tarda a venire perché, allo stato attuale dell’architettura istituzionale e delle politiche seguite, non potrà mai arrivare». Una posizione critica, quella di Savona, che, però, voleva essere costruttiva: «Magari il termine euromorbo… appare a tutta prima troppo forte, ma traduce bene la natura degli atteggiamenti fideistici di chi ancora crede che l’euro possa andare avanti così com’è costruito e gestito». E, a proposito di disavanzo, l’ex braccio destro di Carli sembrava condividere le tesi di Preatoni: «Abbiamo accettato di denominare il debito pubblico in una moneta fuori dal nostro diretto controllo, in pratica una moneta straniera, per giunta in mano a governanti europei che avevano e hanno una concezione della politica economica e della democrazia che gli italiani non possono, né vogliono condividere». Per queste ragioni, nella prefazione al mio libro, l’economista chiedeva un’inversione di rotta rispetto ad una politica europea che impone il fiscal compact ed il tetto del 3% per il deficit statale. Sono trascorsi quattro anni, ma la musica è sempre la stessa: Bruxelles ha, così, appena ribadito la necessità che l’Italia tagli il disavanzo dello 0,6. Ne vedremo delle belle.
IL GIORNALE