La nuova economia sovranista (con Savona)
Provate a domandare a fonti leghiste perché, arrivati a questo punto, Salvini non indica all’Economia Giorgetti, tanto per fare un nome che non avrebbe problemi al Colle. In una trattativa normale sarebbe la soluzione naturale. In fondo è pur sempre un leghista e consentirebbe la nascita del governo. È accaduto più volte che la lista dei ministri, una volta approdata al Colle, ne uscisse cambiata, senza per questo che venisse scatenato l’inferno di un conflitto istituzionale, con i partner di governo che scaricano le responsabilità sul capo dello Stato e invocano le elezioni anticipate. La risposta, alla ovvia domanda, è questa: “Giorgetti, o altri, sono troppo establishment”.
Ecco troppo establishment. E allora, si pone la domanda: ma davvero Salvini è disposto, o, a questo punto, vuole mandare tutto all’aria per Savona? La risposta è sì. Non siamo di fronte a una semplice impuntatura, con le sue effervescenze, attorno a un nome della compagine di governo, in una casella sia pur importante come l’Economia, su cui il capo dello Stato, che ha il potere di “nomina”, esprime le sue perplessità che, normalmente, vengono recepite, indicando un altro nome, come accaduto svariate volte nella storia dell’Italia repubblicana. La forte tensione, diciamo le cose come stanno, è di “sistema”. E per questo lo investe in tutti i suoi aspetti. Politici. Economici. Istituzionali, prefigurando un conflitto col Quirinale. Perché il punto non è il nome di Paolo Savona, ma una linea. E in questo caso il nome “è” una linea”. Anzi, una nuova linea di politica economica incarnata da Savona e da altri economisti euroscettici, fascinosamente presentata come l’inizio di una “era economica sovrana”.
Stiamo parlando di un impianto profondo, strutturato, su cui c’è tutta una letteratura sviluppatasi in questi anni, oltre all’ultimo libro di Savona sul “piano B”, ultimo denso esempio di un’ampia letteratura, italiana e internazionale. Andando a scartabellare tra la produzione politico-intellettuale di riferimento dell’intellighenzia economica “sovranista” colpisce un documento dal titolo “Guida pratica all’uscita dall’euro”, presentato nell’ottobre del 2015 in un convegno presso la Link University Campus di Roma – l’università da cui lo stesso Di Maio ha attinto professionalità per la sua compagine di governo – e poi pubblicato da Scenarieconomici.it. È pubblico, facilmente rintracciabile su internet. Documento alla cui elaborazione ha partecipato, tra gli altri Paolo Savona, che ne ha anche introdotto la presentazione.
Siamo di fronte un progetto di politiche economiche alternative, che ben oltre l’esigenza di essere pronti a tutte le eventualità, il famoso “piano B”. Nella sua articolazione ha la natura di un vero e proprio “piano A”: una linea “alternativa di politica economica”, per favorire la quale l’uscita dall’euro è non una estrema necessità, ma un’occasione da cogliere per gestire la “nuova era economica sovrana” (slide 76). Una occasione.
L’assunto di fondo è che tutte le difficoltà dell’economia italiana sarebbero dovute all’adesione del paese all’Unione Monetaria (slide 3-11). Perché il problema dell’Italia è che ha il cambio troppo forte e deve riguadagnare la competitività di prezzo persa con la Germania (slide 9). Il problema, secondo gli autori del documento, risolve il problema con svalutazione e inflazione. E dunque chiedendo l’uscita dall’Euro, considerata l’unica strada per rispettare il mandato costituzionale: “La costruzione dell’Ue attraverso la leva dell’articolo 11… rappresenta… una forzatura giuridica… Il riscatto della sovranità economica e monetaria e il ritorno alla situazione pregressa al divorzio Tesoro/Bankitalia (1981) sono, nei fatti, l’unica scelta compatibile con la Costituzione, la quale prevale sulle norme e sui trattati europei (slide 16).
È, di fatto, il ritorno all’Italia anni Settanta: si stampa moneta quanto più necessaria, con inflazione a due cifre. Ecco le misure per realizzare il grande futuro alle spalle che, secondo altri economisti porta al default del paese. Anche la Grecia nel 2015, sulla base delle stesse teorie, arrivò a un passo dal burrone, prima di produrre una brusca frenata. Eccole:
– va nazionalizzata Bankitalia (slide 68)
– va reintrodotta l’Iri (slide 72)
– la Banca d’Italia deve essere pronta a fornire una quantità di liquidità enorme al sistema bancario se necessario (slide 65 e 57)
– la Banca Italia deve assumere la funzione di prestatore di ultima istanza a supporto del fabbisogno pubblico e agendo sul cambio, con la revoca del divorzio e l’obbligo di intervento in asta (slide 68)
– vanno reintrodotti gli anticipi della Banca d’Italia sul cc di tesoreria per finanziare il fabbisogno (slide 72)
– è opportuno “agire per frenare una svalutazione eccessiva” (slide 44) avendo in mente un obiettivo di svalutazione del cambio (tra il 15 e il 20 per cento): nel frattempo bisogna “evitare di manipolare il valore della moneta e consentire il cambio libero” perché “una stabilizzazione è nell’interesse delle nostre controparti esterne” (slide 45)
Dunque la Banca d’Italia, che torna a perdere la sua autonomia rispetto al Tesoro, metterebbe in atto una serie di misure diverse e incompatibili, con l’evidente rischio di sovrastimare ampiamente le conseguenze di una “exit” e a sottostimarne i costi. Lo stesso accade con le proposte sulla gestione del debito pubblico:
– abolizione dell’articolo 81 della Costituzione
– il Mef, se necessario, interviene per la ricapitalizzazione delle banche e delle assicurazioni (slide 69)
– va attuata, se necessario, una moratoria sul servizio del debito pubblico e, successivamente, una sua ristrutturazione (slide 52)
È, di fatto, il default con stampa delle nuove banconote da completarsi entro 3-6 mesi dopo il D-Day. Un progetto (slide 23-26) da gestire, nelle sue fasi preparatorie, nella massima “segretezza” affidandolo a un “fiduciario esterno alle istituzioni”. La domanda nasce spontanea, in questa crisi in cui il professor Savona, è diventato il simbolo della tensione di sistema. Perché, da quando i mercati hanno ricominciato a “prezzare” il rischio Italia, letto il contratto di governo e il nome del possibile ministro dell’Economia, perché, dicevamo, né Salvini né Di Maio hanno rilasciato una sola dichiarazione che rassicurasse sulla permanenza dell’Italia nell’Euro? E perché non l’ha fatta neanche il ministro dell’Economia in pectore che, invece, ha parlato dei “veti” quirinalizi sul suo nome? Forse perché non di “piano B” si sta parlando ma di un “piano A” i cui contorni e tempi devono, per ora, rimanere segreti finché non partirà l’inflazione a due cifre e non si riusciranno a pagare gli stipendi pubblici? Una risposta sarebbe opportuna, in questa orgia di retorica sulla sovranità popolare e sul suo rispetto.
L’UFFPOST