Incastrati da Salvini
Incastrati dal braccio di ferro tra Matteo Salvini e il Quirinale. Dentro i pugni che si stringono e esercitano una pressione che di ora in ora diventa sempre più insostenibile, c’è sì Paolo Savona, l’economista dalle idee eterodosse su Europa e moneta unica che la Lega fortissimamente vuole come ministro dell’Economia. Ma ci è finito anche il Movimento 5 stelle.
Perché Luigi Di Maio e i suoi non hanno mai alzato l’asticella sul candidato del Carroccio, ma si sono accodati a quella che il segretario verde considera una condizione ineliminabile per far partire il governo. E ne sono rimasti irrimediabilmente appesi. I Palazzi della politica in un caldissimo sabato sembrano il set perfetto per un horror psicologico. Nel Transatlantico deserto risuonano i passi dei pochi che vi si avventurano. Le luci della buvette solitamente sfavillanti sono sostituite da una penombra che trasuda inquietudine. Dietro una porta a vetri smerigliati la sala del governo, dove si è asserragliato dalle 11 del mattino Giuseppe Conte, il premier incaricato.
Cercando di dimostrare che vaso di coccio tra i vasi di ferro non è, si è attaccato al telefono e ha sentito i due leader, provando a sbrogliare una matassa che al momento appare inestricabile. “Noi ci siamo accodati alla linea di Salvini – racconta uno dei massimi esponenti del Movimento – Non ci siamo mai arroccati su Savona, ma è lui il nostro alleato, senza di lui cade tutto”.
Il punto è che ai 5 stelle una soluzione alternativa andava benissimo. Anzi, nel corso delle trattative Di Maio ha provato a spingere Giancarlo Giorgetti verso quella casella, con un effetto domino che avrebbe anche liberato un posto da sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Senza esito. E il tentativo di ventilare blandamente questa stessa soluzione ieri ha sbattuto contro un muro.
“Dobbiamo capire fino a che punto spingerci in questo gioco di pressioni contrapposte”, spiega un ministro in pectore, coltivando la segreta speranza che alla fine il Colle opti per una soluzione con dentro Savona e contropartite su altre caselle. Scenario che al momento non si intravede all’orizzonte. E che vede i 5 stelle gioco forza sulla linea della minaccia di rottura che ancora questa mattina trapelava dalla Lega, che si è riunita a Milano per un vertice con tutto lo stato maggiore: da Salvini a Giorgetti, Centinaio, Fontana e tutta la segreteria nazionale.
La tesi è che un eventuale ritorno alle urne penalizzerebbe assai più i 5 stelle che la Lega. L’antitesi, dice uno tra gli uomini più vicini al leader M5s, è che “al momento non c’è una via d’uscita che non sia il cedimento dell’uno o dell’altro”. La sintesi non c’è. E tra le sfumature di chi applaude la linea di Alessandro Di Battista, che oggi su Facebook ha parlato di “veto inaccettabile” da parte di Mattarella, e chi predica calma e suggerisce di non tirare troppo la corda, il punto non cambia: “Luigi vuole fare a tutti i costi il governo. E se molla la Lega su Savona, il governo al momento non c’è”. Un cul de Sac, un paradossale “O Savona o morte” dagli echi garibaldini che incastra il Movimento in una situazione difficilissima.
Il trait d’union della vicenda rimane Conte. Chiuso al piano aula di Montecitorio, una bottiglietta d’acqua minerale, un fascicolo d’appunti, un paio di assistenti al seguito. È lui a dover gestire la mediazione – se pur ci sia – tra i due strani partner e il Quirinale, dove forse si recherà ancora in giornata, o forse no (non è dato sapere nulla del premier in pectore, non avendo nessuno al fianco che ne curi la comunicazione). Un paradosso per l’uomo che doveva essere il semplice esecutore del patto e che si ritrova subito al centro di una trattativa che sembra quasi impossibile.
L’HUFF POST
This entry was posted on domenica, Maggio 27th, 2018 at 08:24 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.