Mattarella deciso a non mollare. Pronto il governo del presidente

Qualcuno tratta ancora. Come Giuseppe Conte, che cerca una sponda con Macron, sposta i nomi della lista e piazza alla Farnesina il diplomatico di lungo corso Luca Giansanti, segno di buona volontà nel confronti del Colle.

Qualcuno pensa che alla fine spunterà una mediazione, tipo Paolo Savona alle Politiche comunitarie, e la Lega se ne farà una ragione. Ma la tempesta perfetta sta per abbattersi sull’Italia e nessuno al momento sembra in grado di fermarla. Salvini non molla, pretende Savona all’Economia: «Altrimenti il voto». Mattarella nemmeno, perché cedere ora significa abdicare, arrendersi, decretare la morte dell’istituzione. E lui non ha voglia di consegnare al suo successore «un Quirinale depotenziato». Pensa che Salvini bluffi, però intanto si prepara a riciclare il piano B, un governo del presidente che traghetti il Paese alle elezioni. O in subordine, prorogare Paolo Gentiloni, che ha già preparato gli scatoloni. In questo caso la battaglia sarà dura, con il Quirinale indicato come ostacolo al rinnovamento e bersaglio facile della propaganda di Lega e M5s.

L’assalto finale alla Cittadella dei Jamaica boys parte a metà pomeriggio, quando Matteo Salvini alza il tiro su Mattarella. «Stasera daremo al presidente incaricato i nomi della Lega. Una rottura con il Colle? L’unico rischio che vedo è una frattura tra gli italiani e i palazzi del potere». E i grillini, dopo aver provato a negoziare pure con Casaleggio, sono costretti ad accodarsi. «Di Paolo Savona vengono messe in discussione le idee – scrive su Facebook Alessandro Di Battista – È inaccettabile».

Muro contro muro, a un centimetro dal crac di sistema. Il capo dello Stato infatti sembra voler mantenere il suo no al professore anti euro. «Se Conte lo riproporrà – dicono i frequentatori del Quirinale – sarà rottura. Vorrà dire che anche lui si allinea al diktat pronunciato da Salvini». Cioè, a quella che viene giudicata una inammissibile ingerenza nelle prerogative, non solo di Mattarella, ma pure del presidente incaricato. Dovrebbe essere lui, si legge sulla Costituzione, a comporre l’elenco dei ministri. Non esiste che l’uomo che avrà il potere esecutivo se li faccia dettare come uno studentello.

E pensare, dicono ancora, che di soluzioni per evitare il conflitto istituzionale «ce ne sarebbero mille». Basterebbe affidare al professor Savona un altro incarico di primo piano, ugualmente prestigioso, come ad esempio i Rapporti con l’ Europa: anche da lì potrebbe dare il segno del rinnovamento e della voglia di ridiscutere i trattati. Certo, visto dalla prospettiva del Colle, non bastano le compensazioni proposte, come l’accantonamento del troppo giovane Pasquale Salzano alla Farnesina, o la nomina del rassicurante Moavero Milanesi alle Politiche comunitarie.
Ma la cosa che più irrita Sergio Mattarella è che stia passando il messaggio mediatico che il Colle s’impunta su dei nomi, che mette dei veti sulle idee. Lo hanno detto Di Battista e la Meloni, potrebbe essere benzina per la prossima ordalia elettorale. No, spiegano, il capo dello Stato non ha messo dei paletti ideologici, non vuole frenare nessun cambiamento né mettersi contro la volontà popolare che ha premiato Cinque stelle e Lega. Lui ne fa una questione di sostanza costituzionale. Le proposte devono venire dal presidente incaricato, la lista non può essere un pacchetto chiuso «scarta o accetta» e il capo dello Stato deve dire la sua se un candidato vuole uscire dalla moneta unica, attizza lo spread e fa crollare i mercati finanziari. E così va a vedere le carte di Matteo.

IL GIORNALE

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