Mattarella non mollerà

È una di quelle partite in cui il pareggio non serve a nessuno. Tra Mattarella e Conte (portavoce del governo Di Maio-Salvini) uno solo alzerà la coppa.

Se Paolo Savona sarà ministro dell’Economia avrà vinto il duo populista e perso il Quirinale, l’inverso se non lo sarà per qualsiasi motivo, anche il ritiro dalla competizione del diretto interessato. Solo che non stiamo parlando di calcio, ma di democrazia, di regole, di futuro del Paese, insomma stiamo parlando anche di noi.

Se Cristo si è fermato ad Eboli, Di Maio è sul punto di fermarsi a Savona con tutto il suo pittoresco baraccone, ed è inutile che gridi al complotto. Facciamoci la seguente domanda: due partiti che, pur non avendo vinto le elezioni, si alleano per governare (ne hanno diritto anche in un caso innaturale e pasticciato come quello di cui stiamo parlando) possono fare a prescindere ciò che credono come se fossimo in una Repubblica presidenziale quando invece (purtroppo) siamo in una Repubblica parlamentare con complicati pesi e contrappesi, il cui più importante è appunto il ruolo di vigilanza e indirizzo affidato al capo dello Stato, non eletto ma nominato dal Parlamento?

A questo quesito parte dell’opinione pubblica e degli esperti risponde: sì, possono perché hanno dalla loro la volontà popolare. Ma un’altra parte pensa che non possano, perché così facendo si vìola la Costituzione. Io credo che le regole, anche in un periodo di grande cambiamento, si possano rottamare. Ma non su Twitter o Facebook, bensì in Parlamento, altrimenti è soltanto caos. Chi oggi detiene la maggioranza metta ai voti di modificare la Costituzione in modo che il prossimo premier – possibilmente eletto direttamente dal popolo così ci evitiamo un altro caso Conte – scelga i suoi ministri in modo insindacabile: non sarebbe una brutta idea.

Qualsiasi spallata o scorciatoia è assai più pericolosa della presunta ingiustizia che si vorrebbe sanare. Oggi si aggira il potere del capo dello Stato sulla nomina dei ministri, domani quello del controllo sulla copertura economica delle leggi, dopodomani si decide a tavolino che il ministro della Difesa può dichiarare guerra perché «così ha voluto il popolo». Se è Mattarella a doversi adeguare automaticamente ai voleri di tale professor Conte e non viceversa, tanto varrebbe chiudere il Quirinale e trasferire la cabina di regia alla Casaleggio Associati.

Senza una riforma del potere esecutivo, anche i migliori sogni di Salvini – molti condivisibili – sono destinati a rimanere sulla carta, con grande spreco di tempo ed energie. Boom in campagna elettorale e flop alla prova dei fatti non è esattamente la ricetta di cui abbiamo bisogno.

IL GIORNALE

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