Balotelli e Belotti rilanciano Mancini: contro l’Arabia Saudita finisce 2-1

AP

Mario Balotelli, 27 anni, festeggiato dai compagni dopo il gol: non giocava in Nazionale dal 24 giugno 2014

paolo brusorio
inviato a san gallo (SVizzera)

Dunque, dove eravamo rimasti? Mario Balotelli a Natal in Brasile, era giugno 2014. L’Italia a San Siro, novembre 2017, più le due posticce amichevoli targate Di Biagio. Si sono ritrovati in una calda sera di maggio per battere l’Arabia Saudita in un’amichevole, per loro, pre-Mondiale.

San Gallo, territorio neutrale fino a un certo punto visto che il Kybunpark è colonizzato per metà dagli italiani emigrati in Svizzera (l’altra metà è vuota): tifo genuino e qualche striscione di dubbio gusto, uno su tutti: «Il mio capitano ha sangue italiano». Farsi riconoscere è sempre stata una specialità dei soliti idioti, anche qui non hanno sprecato l’occasione.

 

Raggiunto Rivera a 14 reti

E quanto a occasioni non l’ha mancata neppure Mario Balotelli. Che ha timbrato il primo gol dell’era Mancini con un secco colpo di destro dal limite (ha raggiunto Rivera, nei marcatori si intende, a quota 14: non segnava dalla rete all’Inghilterra ai Mondiali 2014), chiudendo quasi un ciclo nel giorno in cui se ne apre uno nuovo.

 

Fu Mancini a far esordire Balotelli in serie A nel 2007. Qui in Svizzera gli ha restituito la cortesia. Era il più atteso Balotelli: il gol, il pennacchio rosso e una certa, solita, svogliatezza. L’abbiamo ritrovato, ma mettiamoci il cuore in pace: Balotelli è questo e non cambierà. Però ci serve e bene ha fatto il ct a richiamarlo. Se c’è uno che lo capisce è Mancini, non altri. Fuori Balotelli e dentro Belotti, altro tipo di centravanti: suo alla fine il gol, che dopo qualche brivido di troppo e uno strafalcione di Zappacosta assist per il gol arabo, ha generato la vittoria.

 

Liberi da ansie e paure

Non indimenticabile, se non per la statistica. Ma da qualche parte si doveva ripartire, quindi tanto vale azzerare i conti e riaprire la linea di credito verso la Nazionale. Sarà dura risalire, ma non abbiamo scelta.

Mettiamocelo bene in testa, ci aspettano tempi di magra ma fare gli schizzinosi ora non serve. Il materiale umano è questo: un ibrido tra quello che è stato, depurato dai totem, e quello che potrebbe essere.

 

Roberto Mancini è stato calciatore, è il primo a sapere che non si inventa nulla dall’oggi al domani. Di Mancini in campo non ne ha da far giocare, non ha geni né inventori. Ma nemmeno polli di batteria. Qui a San Gallo, mancano Chiellini, Verratti, Bernardeschi e Immobile. Il primo è il capitano in pectore, il secondo potrebbe dare anche un senso compiuto alla carriera, gli altri due portano doti alla voce qualità. Il gruppo è questo. Mancini ha tempo per lavorarci sopra, plasmarlo. Nessuna rivoluzione, né colpi di genio. L’Italia, questa, non ne ha bisogno.

 

Il ct sta davanti alla panchina, un po’ a braccia conserte, un po’ con le mani in tasca: l’emozione c’è stata, adesso la Nazionale è roba sua, da giocatore l’ha frequentata troppo poco perché fosse così. La sua prima Italia gioca un calcio libero da ansie; Jorginho, l’uomo cui Ventura affidò le chiavi di casa contro la Svezia a San Siro, calamita i palloni ma non è così rapido a riciclarli. Florenzi corre e corre, a volte senza costrutto. Pellegrini non ha paura di provare il colpo, non sempre gli viene, ma è di questo che ha bisogno la nuova Nazionale. Voglia, entusiasmo.

 

«Mi viene da piangere a non vedere l’Italia ai Mondiali», ha detto il numero uno della Fifa Infantino, che qui è di casa. Sapesse a noi, presidente. Ma ora almeno la testa è libera, per i cattivi pensieri c’è tempo. Già venerdì a Nizza con la Francia sarà un’altra musica. Loro faranno sul serio, ma nemmeno noi avremo tanta voglia di scherzare.

LA STAMPA

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