Due spiegazioni
Molti lettori ci scrivono del loro smarrimento per quello che sta accadendo in politica. Non capiscono, sono arrabbiati, un po’ con tutti ma un po’ di più con Mattarella.
Alcuni vorrebbero che Il Giornale si schierasse di più, chi a favore dell’uno chi dell’altro dei litiganti. Capiamo, ma il punto è che tutte le parti in commedia, per un verso o per l’altro, ci lasciano molto perplessi in quanto nessuna ha fatto ciò che ci saremmo aspettati o quantomeno augurati. Purtroppo la scelta per chi la pensa come noi dal 4 marzo a oggi era se stare in padella o cadere direttamente nella brace, visto che i liberali erano stati esclusi dal banchetto in quanto ritenuti indegni di sedersi al tavolo delle trattative.
Abbiamo però tenuto il punto su una cosa, questo sì con forza e determinazione. E cioè che un governo Cinque stelle a sostanziale guida Di Maio, nonostante tutta la buona volontà e l’impegno di Matteo Salvini, sarebbe stata una iattura superiore a qualsiasi altra. Perché l’incapacità, la demagogia e l’arroganza grilline sono più pericolose della Merkel e dello spread messi insieme, cosa del resto quotidianamente dimostrata dai guai nelle città che amministrano (l’annullamento a Roma della tappa finale del Giro d’Italia è solo l’ultima perla).
In quanto a Mattarella (che ha la nostra solidarietà per le minacce di morte ricevute ieri, figlie delle sciagurate e ridicole richieste di impeachment) in tempi non sospetti, quando tutti, Di Maio in primis, lo lisciavano ed elogiavano noi ci eravamo permessi in solitudine di mettere in discussione il suo operato per l’ostilità preconcetta ad affidare l’incarico di premier direttamente a Matteo Salvini, leader della coalizione che aveva vinto le elezioni. Eravamo possibilisti sul fatto che in parlamento ci fossero i voti per varare un governo (ipotesi per un certo periodo ventilata anche dallo stesso Salvini) coerente con le posizioni sostenute dai partiti in campagna elettorale e non tra due forze che avevano raccolto i loro voti uno contro l’altro armati, distanti e distinti.
Si potrebbe discutere se Matteo Salvini, nel suo tentativo solitario autorizzato per mancanza di alternative da Silvio Berlusconi, abbia tutelato davvero, come pattuito e annunciato, le istanze politiche e la dignità personale degli alleati lasciati alla porta e grazie ai quali era arrivato fino a lì. Diciamo che non è stato inappuntabile, ma non è questo il problema fondamentale, che resta la sostanza dell’ipotesi di governo gialloverde. E’ vero, come dice Salvini, che l’Italia deve essere governata da chi decidono gli elettori e non da mercati, dalle banche, dall’Europa o dalla Merkel. Lo abbiamo sempre sostenuto anche noi, ma è altrettanto vero che chi governa Savona ministro o no – deve saper fare i conti, che piaccia o no, con mercati, banche ed Europa. In pochi giorni la Borsa ha perso tutto il guadagno accumulato da inizio anno e il debito è aumentato a dismisura per via dello spread. Avanti così saremmo morti, forse non di servitù ma certamente di fame, in ogni caso di malgoverno. Essendo noto che non siamo un popolo di eroi, meglio tornare a votare con patti chiari, qualsiasi essi siano, su cosa succede il giorno dopo le elezioni e a quel punto non ci sarà Mattarella che tenga. Nel frattempo, mi auguro poco tempo, subiamoci questa ennesima sospensione della democrazia di un governo non eletto di tecnici che per di più parte senza la fiducia del Parlamento. E che proprio per questo, paradosso tra i paradossi, non può far paura perché non potrà fare assolutamente nulla se non portarci alle urne.
IL GIORNALE