Un eurocritico (anti-tedesco) che non vuole uscire dall’euro. Chi è Giovanni Tria
Uscire dall’euro? “Non conviene”, ma l’Europa va cambiata da dentro o il sistema imploderà. Sforare il deficit ottenendo una modifica delle regole Ue? È “improbabile”. Il Reddito di Cittadinanza? Una forma “rafforzata” di indennità di disoccupazione. La Flat tax? Può funzionare, ma sulle coperture non si può scommettere: deve essere graduale e può essere finanziata con l’aumento dell’Iva. La Legge Fornero? “Velleitario” parlare di modifiche senza dire come. Ilva? Una posizione “imbarazzante”. Queste le considerazioni espresse di recente dal professor Giovanni Tria, ordinario di Economia politica a Tor Vergata, nome che viene accostato al ministero dell’Economia del Governo di Giuseppe Conte.
Sull’Europa la posizione di Tria si può riassumere con una frase pronunciata nel marzo 2017 in un convegno a Roma organizzato dagli Amici di Marco Biagi, organizzazione promossa da Maurizio Sacconi e Gianfranco Polillo. “A chi dice che bisogna uscire dall’euro rispondo così: è sbagliato rispondere “Sì” ma allo stesso tempo sarebbe limitato rispondere “No”. Tria è fra quegli studiosi che non auspicano l’abbandono della moneta unica – in quanto i costi sarebbero molto maggiori dei benefici – ma che sono convinti che la costruzione europea così com’è non funziona ed è a forte rischio implosione. Quindi sostanzialmente bisogna andare a Bruxelles e portare nuove idee per cambiare l’Europa, ma senza portare con sé la pistola carica dell’uscita dall’euro.
In un articolo scritto a quattro mani col forzista Renato Brunetta per il Sole 24 Ore sempre nel marzo 2017 si trova una specie di piccolo Bignami del Tria-pensiero sull’euro: “Non ha ragione chi invoca l’uscita dall’euro senza se e senza ma come panacea di tutti i mali, ma non ha ragione neanche il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, quando dice che “l’euro è irreversibile”, se non chiarisce quali sono le condizioni e i tempi per le necessarie riforme per la sua sopravvivenza. Anche perché il maggior pericolo è l’implosione, non l’exit. Ragioniamo sulle proposte in campo e cerchiamo soluzioni condivise da tutti i paesi membri dell’Unione europea, per percorrerle insieme piuttosto che usare la logica “Brexit”, per cui quando l’Europa non conviene o non piace più la si abbandona. Cambiare insieme, come gioco strategico a somma positiva, è possibile e conviene. Uscire da soli significa pagare solo costi senza benefici”.
Tria poi ha posizioni abbastanza antitedesche – cosa che non può che far piacere a Salvini – da un punto di vista economico. Lui è uno degli economisti critici con l’enorme surplus dell’economia tedesca, visto come uno dei principali fattori del fallimento dell’euro. Ma non solo. Nel suo mirino è finita la politica d’austerity fortemente voluta da Berlino nei confronti dei paesi del Sud europa, che ha prodotto un aggravamento degli squilibri invece che la sua soluzione. “L’Europa a trazione tedesca non ha volutamente colto, sbagliando, che l’eccesso di virtù (surplus delle “formiche”) produce più danni dell’eccesso di deficit (dei paesi “cicala”). E le misure per fronteggiare la crisi che ne sono derivate non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, piuttosto che risolverla”, sostiene il professore.
Quali sono allora le ricette per il futuro? Principalmente due, connesse fra loro. Da un lato l’inserimento della famosa golden rule nelle norme europee, cioè la possibilità di fare un grande piano di investimenti pubblici al di fuori degli stretti parametri di Maastricht. Proposta peraltro inserita all’interno del contratto di governo gialloverde. Dall’altro la possibilità che la Bce stampi moneta aggiuntiva. In dettaglio, così scriveva Tria sul Sole24Ore: “L’unica strategia che nelle condizioni descritte sembra possibile, oltre che necessaria, è, quindi, quella di uno stimolo fiscale finanziato attraverso la creazione di moneta. In altri termini, ciò che si propone è la monetizzazione di una parte dei deficit pubblici, destinata a finanziare, senza creazione di debito aggiuntivo, un ampio e generalizzato programma di investimenti pubblici”.
Sul sito Formiche.it Tria commenta lungamente il Contratto M5S/Lega. La sua impressione generale è che i contenuti siano piuttosto generici, “si indicano le direzioni di marcia, i provvedimenti chiave, le priorità”. Segnala che “con tutto il rispetto per le competenze riunite interno al tavolo politico delle trattative” – il riferimento è alle delegazioni di Lega e M5S – le norme “attuative dei propositi si dovranno scrivere con le competenze istituzionali in grado di misurare effetti di bilancio e coerenze legislative di sistema”. Questo perché un conto sono i propositi, un conto è la loro attuabilità, e “in genere la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione”, spiega Tria, che fa un’altra importante premessa: non si conoscono “i paletti di bilancio che si vorranno rispettare”. È necessario sapere se si punta a “un improbabile mutamento delle regole europee o se queste regole saranno forzate”.
Giovanni Tria analizza i punti chiave del programma economico sottoscritto da M5S e Lega, a cominciare da reddito di cittadinanza e flat tax, che possono coesistere in base al “particolare e specifico mix” fra i due provvedimenti che verranno messi in campo. Il reddito di cittadinanza viene considerato da Tria alla stregua di “una indennità di disoccupazione un poco rafforzata”, sul modello francese, ” magari estesa a chi è in cerca di primo impiego”. È invece da considerarsi “improbabile” la visione pentastellata del reddito di cittadinanza che configura “una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma”.
Tria definisce “più interessante” la Flat tax, perché contempera la riduzione della pressione fiscale e il sostegno alla domanda interna. Secondo il professore, però, tutto dipende “dal livello delle aliquote”: non si può scommettere che una minore evasione fiscale porti a un maggior gettito che vada a compensare il costo della riduzione delle aliquote. Sarebbe “preferibile”, spiega, “contare meno sulle scommesse e far partire la riforma con un livello di aliquota, o di aliquote, che consenta in via transitoria di minimizzare la perdita di gettito, per poi ridurle una volta assicurati gli effetti sulla crescita”.
Per finanziare la Flat Tax, secondo Tria, si può far scattare l’aumento dell’Iva. “Non si vede perché non si debba far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell’Iva per finanziare parte consistente dell’operazione” scrive Giovanni Tria, che si dice fautore di un “riequilibrio del peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette, spostando gettito dalle prime alle seconde”. Una posizione fortemente raccomandata dall’Unione Europea.
Ed ancora, la Legge Fornero. Secondo Tria “una stima del costo mi sembra ancora velleitaria se non si chiarisce il meccanismo”.
Infine, la stoccata più pesante. Giovanni Tria denuncia l’assenza di chiarezza del Governo gialloverde sulla politica industriale – definisce “imbarazzante” il caso Ilva – sul sistema dei controlli giudiziari e para-giudiziari che assieme al codice degli appalti paralizzano ogni velleità di attivazione degli investimenti pubblici.
Questo il Tria pensiero. Ma da un punto di vista politico, quali sono gli ambienti a lui vicini? Presidente della Scuola nazionale di amministrazione, con molti incarichi in diverse organizzazioni, il suo ambiente politico e le sue frequentazioni, come abbiamo visto, sono relative al mondo berlusconiano di tradizione socialista, a partire proprio da Brunetta e Sacconi. Inoltre Tria fa parte del comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, presieduta dal parlamentare di centrodestra Gaetano Quagliariello.
L’HUFFPOST
This entry was posted on venerdì, Giugno 1st, 2018 at 07:23 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.