La vera minaccia è una crisi politica e non finanziaria
L’estate 2018 non è l’estate 2011. Sette estati fa la differenza tra il costo del finanziamento dei titoli di stato tedeschi e quelli italiani a 10 anni salì in poche settimane da valori intorno a 150 a quasi 500. L’allora presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet insieme al presidente designato Mario Draghi scrissero una lettera dai toni perentori all’Italia e si sa come finì: la crisi finanziaria portò a una crisi politica e l’avvento del governo Monti.
Ci sono almeno tre elementi che portano a dire che no, questa estate è molto diversa da quella di sette anni fa. Il primo è la solidità dell’economia italiana. Pur con tutti i ritardi cronici dovuti alla bassa produttività e al dualismo territoriale, veniamo da 20 trimestri consecutivi di crescita e rispetto al picco negativo che seguì la crisi dell’estate 2011 il prodotto interno lordo è cresciuto di quasi il 5 cento. L’export non ha mai vissuto una stagione così florida, grazie alla capacità di una parte importante del manifatturiero di innovare per espandersi sui mercati esteri. Nel 2017, le nostre esportazioni in beni e servizi hanno raggiunto la cifra record di 540 miliardi di euro, generando un surplus delle partite correnti di quasi 50 miliardi.
Nel 2011 esportavamo 100 miliardi in meno. Anche gli indicatori di fiducia delle imprese segnalano oggi un clima diverso rispetto all’estate del 2011 mostrando che, malgrado l’incertezza, c’è ancora voglia di investire. Ed infatti, la crescita dei beni di investimento nella manifattura italiana ha fatto segnare nel 2017 un +3,7 per cento. Poi le banche.
Il tasso di deterioramento del credito era nell’estate del 2011 già intorno al 4 per cento del totale dei prestiti, per poi crescere ulteriormente nei mesi successivi. Oggi quel tasso è intorno all’1,5 per cento e lo stock accumulato negli anni passati inizia a essere venduto sul mercato, liberando capitale per i prestiti e mettendo in sicurezza i bilanci delle banche. La seconda componente è che la tanto bistrattata Europa ha nel frattempo messo in campo strumenti per gestire fasi economiche complesse e per aiutare l’economia. La politica monetaria ultra espansiva della Bce lanciata all’inizio del 2015 permette ai tassi di interesse di rimanere su livelli storicamente bassi, addirittura più bassi del periodo d’oro dell’euro, tra il 1997 e il 2006. Con benefici evidenti sui mutui per la casa o i prestiti per il consumo, o i finanziamenti delle imprese. Anche il Meccanismo Europeo di Stabilità non esisteva nell’estate del 2011: oggi l’Europa ha una istituzione capace di gestire eventuali crisi del debito sovrano di un Paese dell’area euro, dando inevitabilmente fiducia agli operatori economici sulla tenuta della moneta unica.
La terza componente è lo stato dell’economia mondiale. In quella estate del 2011 tre Paesi dell’eurozona – Grecia, Portogallo e Irlanda – avevano perso l’accesso ai mercati per finanziare il loro debito e non era infrequente leggere sui giornali che questo avrebbe potuto portare alla fine dell’euro e a una crisi sistemica difficile, se non impossibile, da gestire. Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti crescevano a un ritmo ben più lento di quanto fanno oggi, che sono ritornati a essere la locomotiva dell’economia mondiale. Quindi, alla crisi italiana si sommavano debolezze fuori dai nostri confini, e le due cose si alimentavano una con l’altra. Questo porta a una riflessione e una conclusione. La riflessione è che il contesto europeo non va messo in discussione: è la nostra forza sia per la stabilità che la valuta garantisce, sia per gli strumenti che mette a disposizione, sia infine per l’importanza che riveste per l’economia reale. Ogni giorno lavorativo, un miliardo di euro di merci italiane escono dai nostri confini per andare sui mercati dei partner europei. Pensare di mettere in discussione ciò è contro gli interessi nazionali.
La conclusione è che le reazioni possono essere scomposte e se nel 2011 una crisi finanziaria portò a una crisi politica, non si può escludere oggi che una crisi politica porti a una crisi finanziaria, malgrado la diversa solidità dell’economia, italiana e mondiale.
*Capo economista Confindustria
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