“Il progetto Lega-M5s può portare al disastro. Redistribuire ricchezza senza crearla è follia che impoverisce i popoli”
Credeva che il mondo sarebbe stato sempre più libero dalle barriere: “Ci ritroviamo, invece, con i populisti che rischiano di fare un danno irreparabile all’euro e i dazi imposti dagli Stati Uniti di Donald Trump”. Ancora dieci anni fa, Francesco Giavazzi – economista, polemista capace di aprire e alimentare il dibattito pubblico – apparteneva a una categoria di studiosi considerati depositari di un sapere quasi sacro, difficilmente contestabile, quello dell’economia aperta e di mercato. Poi, la crisi del 2007 ha cambiato tutto: “Gli economisti consapevoli che la quantità di rischio accumulato nel sistema poteva farlo saltare sono stati pochi: fra questi il premio Nobel Robert Shiller, Andrei Shleifer di Harvard, Ragu Rajan di Chicago. Quando la bolla speculativa è esplosa, dando inizio alla crisi più grave dagli anni Trenta, i primi a esser colti di sorpresa furono proprio molti economisti”.
Da allora, nella generale perdita di considerazione della competenza, la competenza economica è probabilmente quella che più ha diminuito la propria reputazione. Nessuno ha mai perdonato agli economisti quell’errore: “Ma sono stati proprio gli economisti a salvare il mondo. Se non ci fosse stato a capo della Fed Ben Bernanke il mondo sarebbe crollato a picco. Bernanke aveva studiato a lungo la crisi degli anni Trenta. È stato un suo grande merito l’aver imparato dalla storia e dall’osservazione di ciò che accadeva nella realtà. Non ha mai avuto pregiudizi ideologici a favore di una particolare teoria economica. D’altronde, imparare dall’evidenza è ciò che fa un buon economista”.
La gratitudine, tuttavia, non è il sentimento con cui la maggior parte dei cittadini giudica le istituzioni economiche e finanziare del mondo, che sono invece oggetto di continue contestazioni, critiche, invettive, accuse, rimproveri, insulti e, nei casi più grotteschi, sospettate addirittura di ordire piani contro la vita e il benessere delle nazioni: “Mario Draghi ha impresso una svolta di 180 gradi alla politica della Banca centrale europea, prendendo atto che i vecchi strumenti non funzionavano più e creandone di nuovi che ci hanno consentito di uscire dalla crisi: LTRO, TLTRO e infine il quantitative easing“. Nonostante ciò, l’Unione europea continua a essere considerata una matrigna, contro la quale, in Italia, si è appena formato un governo: “Matteo Salvini ritiene che non ci si debba fidare dell’UE. I suoi modelli sono l’Ungheria di Orban, il Front National di Marine Le Pen e la Russia di Putin. Non così i Cinque stelle, tranne che su Putin, ma forse solo perché il Movimento è molto volatile e spesso dimostra di avere poche idee e confuse”.
Come giudica il loro progetto comune?
Può portare al disastro. L’idea di redistribuire la ricchezza senza averla prima creata è una follia che impoverisce i popoli. Basterebbe studiare un po’ la storia dell’America Latina.
Perché?
Un terzo del nostro debito pubblico è stato acquistato da risparmiatori che abitano lontano dall’Italia e vi hanno investito il loro futuro, le loro pensioni. Adombrare che l’Italia possa non ripagarlo – perché questa è la conclusione se, anziché lentamente ridurre il debito, ci si propone di aumentarlo ancor più – non può che spingerli alla fuga, come abbiamo visto appena è stata resa nota la prima bozza del programma di questo governo.
È stato anche il nome di Paolo Savona a preoccupare. Lo conosce?
Lo incrociai, negli anni novanta, nel comitato per le privatizzazioni. Lavoravo al Tesoro con Mario Draghi e il ministro Piero Barucci. Già allora Savona rappresentava il vecchio. Era lì per difendere gli interessi di un mondo che non voleva si cambiassero troppe cose. D’altronde è il mondo per cui lavorò dopo l’esperienza del governo Ciampi, come presidente di Gemina, Impregilo, Consorzio Venezia Nuova, quello del MoSE. L’idea che Paolo Savona possa rappresentare il governo del cambiamento è surreale.
Non ha le qualità?
Credo sia una brava persona, ma le sue competenze scientifiche sono inesistenti, almeno nel mondo accademico internazionale. E le sua posizione contraria all’euro è ideologica, non fondata su analisi serie, proprio quello che un bravo economista non dovrebbe mai fare.
Lei come entrò in quel mondo?
Incontrai il professor Franco Modigliani a una conferenza, a Milano, nel 1972. Mi stavo laureando in ingegneria elettronica e sognavo di andare a studiare in America. Ma per gli ingegneri non c’erano borse di studio. Ce n’erano tante, invece, per chi desiderava studiare economia. Modigliani mi disse: “Lei conosce bene la matematica, è lo studente ideale per cominciare un dottorato in economia”.
Dove andò?
Al MIT, dove due anni prima era arrivato Mario Draghi, il primo italiano a completare un PhD al MIT. Poi, fu la volta di Mario Baldassari, Ignazio Visco a Philadelphia e tanti altri.
Cosa significava per voi essere lì?
Il MIT è un posto mitico, dove allora insegnavano tre dei più grandi economisti del secolo scorso: Modigliani, Samuelson, Solow, tutti e tre insigniti del premio Nobel.
Perché si appassionò all’economia?
Pensavo che fosse un modo per capire la società e forse aiutarla a migliorare.
Molti fanno politica per la stessa ragione.
Clint Eastwood nell’ultima scena di Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan dice: ‘Un uomo deve conoscere quali sono i propri limiti’.
Non ha mai fatto politica?
Prima di partire per il servizio militare in Alto Adige, nel 1972, mi avvicinai al gruppo dei socialisti autonomisti milanesi, grazie a due persone intelligenti che avevo conosciuto durante gli anni dell’università, Ugo Intini e Claudio Martelli. Eravamo l’ala nenniana del partito, una piccola minoranza, dunque in un’ottima posizione.
Scrivendo, è riuscito a condizionare la politica. Anni fa si parlava addirittura dell'”Agenda Giavazzi”.
Quindici anni fa, cominciai una battaglia per la liberalizzazione dei mercati, quando Bersani era ministro ed io e lui andavamo d’accordo. Poi, Bersani ha cambiato strada.
Era una battaglia sbagliata?
Non ho cambiato idea. Con gli anni mi sono però reso conto quanto potenti siano i gruppi d’interesse radicati nella società.
Crede ancora che il liberismo sia di sinistra?
Certamente, sì: aprire i mercati vuol dire abbattere le posizioni di rendita, dare una possibilità a chi ne ha le qualità, avvantaggiare i giovani, i consumatori, insomma aumentare il benessere della società. Questo credo sia di sinistra.
La sinistra non dovrebbe ridurre le diseguaglianze?
Le disuguaglianze sono aumentate, certo, ma la concentrazione della ricchezza ha due spiegazioni: da una parte ci sono gli elevatissimi rendimenti delle aziende tecnologiche, dall’altra c’è la ricchezza che nasce da una posizione di rendita. Dalla prima forma di ricchezza traiamo vantaggio tutti: chieda ai ragazzi che cosa rappresentano per loro i social. Dalla seconda, invece, trae vantaggio solo chi la rendita la possiede. Per questo trovo ingiusto che, tra tutte le tasse (troppe) che ci sono in Italia, non ce ne sia una che colpisca il passaggio della ricchezza di padre in figlio.
Perché nessuno la propone?
È sempre più difficile, e non solo in Italia, discutere seriamente di alcune proposte, ragionare sulle analisi e sui dati. La decisione pubblica richiede l’esercizio costante della conoscenza. Il paradosso è che la conoscenza sembra valere sempre meno.
È vero che l’Euro è stato un disastro per l’Italia?
Chi lo sostiene, non ricorda che cosa accadeva quando c’era la Lira. Le continue svalutazioni riducevano sistematicamente i salari reali, diminuendo il potere d’acquisto dei lavoratori senza però che nessun Parlamento avesse mai votato di ridurli. Era un modo subdolo per ingannare i lavoratori.
Ci inganniamo anche sul debito?
Il debito privato in Italia praticamente non esiste, a differenza di paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti. L’Italia ha invece un enorme debito pubblico, creato negli anni 70, accumulato negli anni 80 ed esploso in quelli successivi. È stato un modo per scaricare i costi di alcuni servizi pubblici di cui ha goduto la nostra generazione, scuola, sanità, previdenza, sulle generazioni future. È ciò che succederebbe di nuovo se la legge Fornero venisse abolita. Pagherebbero, ancora una volta, i giovani. I quali, forse, un giorno si ribelleranno.
I trentenni che sono appena andati al governo non sembrano interessati a questa rivolta.
La cosa più sorprendente del voto è che i Cinque stelle, la cui politica farà crescere il debito scaricando ancora più peso sulle generazioni future, siano stati votati in gran parte dai giovani.
Sono autolesionisti?
Non hanno capito che quando la vita si allunga, se non si lavora più a lungo, il costo delle pensioni lo pagano i pochi che lavorano con una tassazione insopportabile.
Se Di Maio e Salvini la chiamassero per chiederle un consiglio cosa gli direbbe?
Di smetterla di spendere soldi per tenere aperte aziende inefficienti (penso per esempio all’Atac) e invece dare più spazio alle aziende efficienti (in Italia sono moltissime, basta guardare alle nostre esportazioni).
Far chiudere le imprese, non significa anche licenziare?
Proteggere i posti di lavoro di un’azienda che non ha futuro è solo uno spreco di denaro. Sono i singoli lavoratori che devono essere difesi, dando loro un reddito, e aiutandoli a trovare un’altra occupazione.
Il reddito di cittadinanza può essere lo strumento giusto?
Così come l’hanno pensato i Cinque stelle ha tre limiti. Primo, i centri per l’impiego non si fanno da un giorno a un altro, e senza i centri per l’impiego il reddito di cittadinanza diventerebbe un sussidio perenne che elimina l’incentivo a cercare un lavoro. Secondo, non si possono dare gli stessi soldi a persone che vivono in parti diverse dell’Italia: in provincia di Caltanissetta 780 euro al mese sono tanti, certamente più che a Torino. Terzo, non si può fare un’operazione del genere creando altro debito.
È sbagliato redistribuire la ricchezza?
È sbagliato redistribuire una ricchezza che non c’è.
Qual è il rischio?
Fare la fine dell’Argentina peronista, che ha continuato a redistribuire una ricchezza che non aveva, fino ad arrivare al punto di mettere nelle tasche delle persone carta straccia, e portando il paese alla bancarotta.
L’HUFFPOST