Il dovere di essere credibili
Il governo e la sua maggioranza escono rassicurati dall’impatto con il Parlamento. Hanno avuto conferma che, al di là dei sarcasmi e delle critiche più dure, le opposizioni non hanno denti politici. Le aule di Senato e Camera sono servite soprattutto a evidenziare le lacerazioni di un centrodestra diviso in tre, e di una sinistra capace solo di certificare il proprio limbo tra passato e futuro. Ma l’eccitazione e l’autocompiacimento di Movimento Cinque Stelle e Lega appaiono a dir poco eccessivi. Sentirsi ai confini dell’onnipotenza nel potere legislativo e esecutivo rischia di rivelarsi pericoloso e illusorio. E non solo per quanto è stato detto e taciuto tra applausi e noia dal premier Giuseppe Conte. La sensazione è che non ci sia ancora piena consapevolezza che la vera opposizione non sarà quella parlamentare. Sempre che non si allarghino crepe nella loro coalizione «a contratto», M5S e Lega saranno stretti tra mercati finanziari e opinione pubblica amica. I primi, composti in buona parte da banche e privati italiani che detengono una grossa quota del debito pubblico, debbono essere rassicurati per continuare a finanziarlo. Quanto all’opinione pubblica, è popolata da elettori sovraccarichi di attese dopo le mirabolanti promesse su flat tax e reddito di cittadinanza. Quanto si è visto finora suona poco rassicurante.
La maggioranza si sta muovendo come una «gioiosa macchina da spesa», poco attenta ai vincoli europei. Certe battutacce sull’Alta velocità confermano una tendenza pericolosa a maneggiare gli impegni presi con disinvoltura dilettantesca. La voglia di essere conosciuti e rispettati, rivendicata dal premier in vista del vertice del G8 in Canada, si traduce in un approccio potenzialmente conflittuale su una serie di temi: un viatico che potrebbe consacrare un’Italia di Cinque Stelle e Carroccio più assertiva; oppure declassarla a nazione velleitaria e imprevedibile, da trattare con l’educazione guardinga riservata a chi si vuole tenere buono in attesa di isolarlo.
Sulla stessa politica estera, la miscela di fedeltà atlantista e ortodossia europeista è punteggiata da piccole smagliature che minacciano di allargarsi; e di aumentare la diffidenza nei nostri confronti. È vero che sui rapporti con la Federazione russa non si parla più di un impegno per arrivare all’eliminazione delle sanzioni ma solo di una loro «revisione». Però l’ammirazione smaccata per Vladimir Putin espressa anche di recente da esponenti leghisti e grillini crea comunque allarme nella Nato, che difatti ieri ha reagito. Il contesto nel quale questi slittamenti semantici si verificano contribuisce dunque a sollevare domande sulla direzione che la politica estera può prendere nel tempo: come sulla moneta unica europea, sulla quale pure ci sono state rassicurazioni ripetute.
Il problema è che la stessa necessità di ribadire la nostra coerenza finisce per incrinare la credibilità italiana. Si assiste allo spettacolo di partiti premiati dal voto del 4 marzo, incapaci di emanciparsi da parole d’ordine e comportamenti elettorali; e dunque condannati a prolungare l’incertezza del profilo italiano, forse al di là delle loro stesse intenzioni. Perfino sull’immigrazione, uno dei temi sui quali la Lega di Matteo Salvini ha mietuto consensi e conta di moltiplicarli, la strategia della «tolleranza zero» mostra qualche smagliatura. Il presidente del Consiglio, Conte, ha giustamente detto che finora la politica europea è stata fallimentare, su questo tema. Pretendere che venga rivista è legittimo. Non si tratta soltanto di rimodulare il concetto di accoglienza, saldandolo con l’esigenza di controllare e governare il fenomeno. Il problema è anche di evitare che la percezione di un «assedio», vero o immaginario, fomenti la xenofobia e faccia perdere di vista il carattere strutturale dei fenomeni migratori. Ebbene, da una parte si proclama finita la presunta «pacchia» per gli immigrati irregolari. Dall’altra, come soluzione d’emergenza si prevede una loro chiusura prolungata in centri di fatto di detenzione, in attesa di rispedirli nei Paesi d’origine: soluzione assai più complicata e costosa di quanto si voglia far pensare.
Si tratta di una «tolleranza zero» a doppio taglio. L’idea di tenere per un anno e mezzo i migranti senza identità definita in nuovi e vecchi campi di accoglienza farà felici quanti, in Nord Europa, prefigurano per l’Italia un futuro da parcheggio blindato e avanzato rispetto alla Libia. In più, si delinea da parte del Carroccio un’alleanza con alcuni Paesi Est-europei, che in nome della difesa dei confini nazionali, in passato si sono sempre rifiutati di accogliere le quote di immigrati fissate dall’Ue: compresi quelli dall’Italia. Il rischio di perdere interlocutori storici per unirsi a nazioni che vogliono confinare l’immigrazione nel recinto dell’Europa mediterranea, è palpabile. Se a questo si dovesse aggiungere un peggioramento dei rapporti con il Nord Africa, come il recente scontro diplomatico con la Tunisia fa temere, più che risolvere il problema lo si esaspererebbe. Nel momento in cui comincia a lavorare, meglio che il governo sappia a cosa va incontro, prima di essere costretto a correre ai ripari tra qualche mese.
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