Dall’età del ritiro al ricalcolo dell’assegno: ecco cosa cambierà alle pensioni

L’impegno del governo Lega-M5s sulle pensioni è chiaro: «Con la quota 100 smonteremo la legge Fornero pezzo per pezzo», garantisce Salvini. Ecco chi ci guadagna e chi ci rimette con il ricalcolo contributivo.

La quota 100 per superare la legge Fornero

La questione attorno alla quale ruota tutta la dialettica sulla riforma delle pensioni nel governo Conte è la fatidica «quota 100» come parametro per superare la legge Fornero. In buona sostanza, dovrebbe poter ritirarsi dall’attività lavorativa chi avrà raggiunto almeno un’età anagrafica di 64 anni con 36 anni di contributi e poi a salire (65 + 35; 66 + 34) in modo tale da lenire l’aumento di 5 mesi dell’età pensionabile nel 2019 che passerà da 66 anni e 7 mesi a 67 anni. Nel computo dovrebbe essere fissato un tetto di 2 anni ai contributi figurativi, cioè quelli non materialmente versati dal lavoratore durante i congedi straordinari. Analogamente, è prevista la possibilità di uscire dal mondo del lavoro per coloro che avranno totalizzato 41 anni e mezzo di contributi previdenziali. Se queste ipotesi saranno confermate, la maggiore spesa previdenziale a carico dello Stato dovrebbe essere limitata tra i 5 e gli 8 miliardi.

Previsto il conteggio per la fascia 1996-2012

Il mezzo principale attraverso il quale assicurare la sostenibilità del superamento della legge Fornero è il ricalcolo contributivo degli assegni. La riforma Dini del 1995, infatti, ha salvaguardato tutti coloro che contavano almeno 18 anni di contribuzione previdenziale al primo gennaio 1996 consentendo di pensionarsi secondo il vecchio metodo retributivo parametrato sullo stipendio. La riforma Fornero ha assestato a questa categoria un primo colpo, imponendo per questa categoria di lavoratori (in attività sono rimasti i nati tra il 1951 e l’inizio degli anni ’60) il calcolo contributivo a partire dal 2012. Per facilitarne l’uscita il governo Conte pensa di imporre il conteggio contributivo anche per la parte compresa tra il 1996 e il 2012. In caso di aumenti stipendiali notevoli il taglio dell’assegno pensionistico potrebbe raggiungere il 10%, stando almeno alle prime simulazioni.

In dubbio Ape social e anticipo per i “gravosi”

Il presidente del Centro studi Itinerari previdenziali nonché estensore delle proposte della Lega, Alberto Brambilla, ha affermato che l’Ape sociale (l’anticipo pensionistico a carico dello Stato per chi ha compiuto 63 anni e ne ha almeno 30 di contributi) e l’aumento delle quattordicesime ha «scassato» ulteriormente il sistema pensionistico. Analoga contrarietà è stata espressa per il sostegno ai lavoratori che svolgono mansioni cosiddette «gravose», cioè che svolgono le quindici attività classificate dal ministero del Lavoro come «usuranti». Questi ultimi possono ritirarsi con 41 anni di contribuzione (come i lavoratori precoci) oppure accedere all’Ape social. L’eliminazione delle quattordicesime aumentate (per coloro con trattamenti fino a 2 volte il minimo Inps) e dell’Ape consentirebbe risparmi anche superiori ai 2 miliardi di euro, ma creerebbe notevole malcontento. Anche nel sindacato.

I trattamenti rideterminati in base ai contributi

La misura più «populista» di tutte è l’intervento sulle cosiddette pensioni d’oro, cioè quelle che superano i 5mila euro mensili netti. Non è ancora chiara la modalità dell’intervento ma, poiché un taglio netto comporterebbe problemi di contenzioso, è legittimo ipotizzare che anche in questo caso si opti per un ricalcolo interamente contributivo dei trattamenti. Secondo l’ Inps, i percettori di questi assegni sono circa 30mila. La rideterminazione comporterebbe un risparmio tra 100 e 150 milioni di euro. Trattandosi di persone che percepivano stipendi elevati, la rivalutazione con il vecchio metodo retributivo è stata più «sobria» rispetto alla media e, così, anche il ricalcolo comporterebbe minori risparmi (poco superiori al 5%). I quali, tra l’altro, sarebbero più che compensati dall’applicazione della flat tax che su circa 7mila euro netti di pensione implica un minor prelievo mensile di 2.300 euro.

IL GIORNALE

 

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