Consumi giù, riecco la crisi. E senza il paracadute-Draghi

Il conto alla rovescia è iniziato. La Banca Centrale Europea (Bce) potrebbe quanto prima decidere di chiudere i rubinetti che, da marzo 2015, riversano fiumi di liquidità nell’Eurozona a sostengo della ripresa, al grido di battaglia di «whatever it takes» (a ogni costo), la parola d’ordine del governatore Mario Draghi.

E il governo si potrebbe trovare presto a fare i conti con il ritorno della speculazione sul debito italiano finora tenuta a freno dai massicci acquisti di Francoforte.

«Dobbiamo creare un rapporto costruttivo con le autorità europee per trovare una soluzione che ci eviti traumi in seguito alla fine del quantative easing (QE)», si augura Giampiero Maioli, rappresentate del Credit Agricole in Italia che, considerando il «passaggio molto delicato» in atto, chiede ai protagonisti di «evitare proclami belligeranti». Il problema? È presto detto. Un’escalation dello spread (il differenziale tra i titoli di Stato tedeschi e italiani), termometro che misura la percezione del rischio sul Paese, metterebbe sotto pressione i bilanci bancari vincolati a parametri patrimoniali sempre più rigidi. È lo stesso Maioli infatti a riconoscere come «eccessivo il peso dell’esposizione ai Btp sui portafogli delle banche».

In attesa della mossa della Bce, i segnali provenienti dalle Piazze finanziarie sono tutt’altro che incoraggianti. Ieri lo spread è schizzato a 256 punti, il rendimento del Btp decennale è tornato al 3%, mentre l’euro è salito a quota 1,18 sul dollaro. Il nervosismo è papabile. D’altro canto il «libro dei sogni» presentato dal nuovo esecutivo costa, secondo le prime stime, intorno ai 125 miliardi ed è, per ora, privo di copertura finanziaria, a maggior ragione se si esclude l’aumento dell’Iva come pare intenda fare il governo.

Bruxelles intanto, attraverso l’agenzia americana Bloomberg, ha fatto recapitare a Palazzo Chigi un messaggio ben chiaro: «Roma si deve attendere lo stesso trattamento riservato a Londra sulla Brexit» qualora pensi di rivendicare privilegi in Europa. Il primo appuntamento con la realtà è previsto per l’autunno quando il premier Giuseppe Conte dovrà presentare la legge di Bilancio e rispondere alle richieste di ulteriori tagli della Commissione Ue che, contenute nel «Pacchetto Primavera».

L’indicazione sulla fine del QE è attesa per il 14 giugno nel corso della riunione della Bce di Riga. Per gli investitori potrebbe trattarsi già di settembre, sempre che non sia varata una versione ridotta del QE, fino a fine 2018. Già oggi la Bce acquista 30 miliardi al mese in titoli rispetto agli 80 miliardi dell’apice della crisi. I segnali che si stia andando in questa direzione ci sono tutti: la Germania scalpita e l’inflazione europea a maggio ha raggiunto l’1,9%, vicino al target prefissato da Draghi (2%).

Roma però non è Berlino. «In Germania l’inflazione è al 2,2%, mentre quello dell’Italia è all’1,1 per cento. La politica monetaria unica non deve essere condizionata dalla esclusiva volontà tedesca», ha sostenuto Marco Valli europarlamentare M5s. Proprio ieri intanto l’Istat ha mostrato un aprile nero per le vendite al dettaglio con un calo dello 0,7% in valore e dello 0,9% in volume rispetto a marzo, che diventano rispettivamente del 4,6% e del 5,4% su base annua. Il Codacons parla in merito di «allarme sui consumi», Confesercenti di «una spia preoccupante per la ripresa economica del Paese», mentre per Federconsumatori, i dati rappresentano «l’inizio di una catastrofe annunciata».

Da oggi la politica monetaria delle banche centrali sarà tra temi del G7 visto che la settimana prossima si attende dalla Fed il rialzo dei tassi Usa. Una simile scelta potrebbe rendere ancora più delicata la situazione per l’Italia con la fine del QE: aumenterebbe il rischio di speculazione contro il debito made in Italy.

IL GIORNALE

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