Un’app per consegnare pizze con i droni: così Federico ha conquistato Apple

BRUNO RUFFILLI
INVIATO A SAN JOSE

Pensi di essere un’eccezione? «No, penso che ci siano molti altri ragazzi come me, ne ho conosciuti alcuni qui». Qui è San Jose, California, dove si tiene la Worldwide Developer Conference di Apple, e a parlare è Federico Galbiati, 17 anni, che da Cupertino è stato invitato in California a seguire l’evento annuale che riunisce gli sviluppatori per le piattaforme software della Mela. È uno dei 350 vincitori delle borse di studio messe a disposizione di Apple, che quest’anno hanno visto una presenza record di italiani. Ma, a differenza di molti altri, non frequenta la Developer Academy napoletana, e a San Jose ci è arrivato da solo, sfruttando abilmente un luogo comune che vede legati a doppio filo gli italiani e la pizza.

«Ho pensato a un’app per ottimizzare la consegna tramite drone e ho immaginato che questo drone dovesse consegnare delle pizze. È necessario diminuire i consumi della batteria e consegnare i colli in maniera efficiente, e per questo ho studiato un algoritmo. Considera le destinazioni e il numero dei colli e sceglie il percorso più breve e con cui ne consegna di più». Un po’ come fa Uber Pool, che ottimizza il percorso più breve per caricare e portare a destinazione più persone con mete diverse. «Sì, utilizza anche un altro algoritmo piuttosto noto, il Travelling Salesman Problem, che funziona ma che nel mondo reale darebbe troppe combinazioni, per cui ci ho lavorato un po’».

 

Ma non è presto per un’app, visto che le consegne con i droni sono ancora un futuro abbastanza vago, a parte gli esperimenti di Amazon e Dhl? Federico non si scompone: «C’erano poche ricerche su questi algoritmi e ho pensato che era un campo dove potevo creare qualcosa di interessante, e poi sembra nei prossimi cinque anni ci saranno innovazioni tali da poter aumentare l’autonomia e rendere finalmente possibili le consegne con i droni». E la sua non è ancora un’app, è un Playground Book, ossia una dimostrazione in video: «Ma il sistema che genera il filmato gira con lo stesso codice, basta qualche ora di lavoro e l’app è pronta».

 

 

Federico frequenta il terzo anno al liceo scientifico a Magenta e abita ad Abbiategrasso. «Ho cominciato a programmare in C e in Python alle medie, e in Swift (il linguaggio di Apple) in prima superiore», dice. Saranno stati i genitori a spingerlo, uno pensa, e invece: «Mia mamma insegna musica, mio padre è ingegnere meccanico e fisico, mi aiuta sugli algoritmi, ma non con la programmazione». Dove ha imparato allora? «Ho sempre seguito corsi online in inglese, anche le sessioni di Apple alla WWDC e alcuni tutorial sono online». Così a San Jose segue le sessioni, ma preferisce gli incontri diretti con esperti di Apple per risolvere problemi concreti: «Le sessioni si seguono meglio da casa. In questi giorni lavorerò in gruppo con altri ragazzi che ho conosciuto qui, uno cinese, uno americano e altri con cui realizzeremo un’app di realtà aumentata, ma seguirò anche alcuni laboratori di Machine Learning, Augmented Reality, interfaccia grafica e accessibilità. È un aspetto su cui Apple punta molto: prima della WWDC siamo stati invitati allo Steve Jobs Theater, a un piccolo evento di presentazione per i developer. C’era anche Tim Cook, e con altri capi di Apple hanno parlato di come possiamo implementare funzioni per permettere di usare le app a tutti: a chi ha problemi di disabilità, come a chi parla una lingua diversa dalla nostra».

 

E delle novità presentate da Apple alla WWDC cosa pensa? «Sembra una cosa da poco, ma secondo me è molto utile il nuovo sistema di notifiche, che si sovrappongono anziché essere una dopo l’altra. E mi sembra anche molto utile Screen Time, per far star meno le persone incollate al telefono. I miei compagni di classe passano ore e ore su Instagram, a me pare di sprecare la mia giornata, preferisco uscire, studiare, programmare». Nel tempo libero, Federico gioca a tennis e nuota con gli amici. E infatti è alto e atletico, del nerd ha al massimo gli occhiali, nemmeno troppo spessi. Ma i videogiochi proprio no? «“Sono più interessato alla computer science, non conosco bene i framework grafici. Per fare un’app puoi esser da solo ma per un gioco serve almeno un designer e uno bravo con i suoni».

 

Per il resto, da sviluppatore, non stupisce che abbia trovato più interessante del keynote la sessione tecnica subito successiva, riservata appunto ai developer. «Migliora molto l’intelligenza artificiale, specie nel riconoscimento delle immagini, ma anche la realtà aumentata condivisa mi pare un grande passo avanti, credo che ci lavorerò su quello. Non credo sarà un gioco, sto pensando a qualche altro modo di usarla».

 

Alla fine di giugno, Federico partirà ancora per la California e frequenterà la sessione estiva della Stanford University, dove è stato ammesso alla frequenza di alcuni corsi di Computer Science e alla Silicon Valley Innovation Academy. E poi? «Se dovessi frequentare l’università in Italia il Polimi mi sembra un’ottima scelta, ma da noi gli insegnamenti sono molto teorici, e poco centrati sull’intelligenza artificiale, il campo che mi interessa di più. Potrei scegliere un corso in America che si concentra sulla parte pratica e ha corsi specialistici. Vedremo». Cosa farà da grande? «Per il lavoro mi dispiacerebbe lasciare l’Italia, anche se è chiaro che fuori ci sono opportunità molto più interessanti. La mia idea è provare a stare per un po’ all’estero, magari vicino casa, e poi tornare in Italia».

LA STAMPA

 

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