“L’Alleanza gialloverde costruirà un regime”

“Bisogna cercare di sottrarsi all’aria del tempo, cioè all’idea di prendere quello che passa il convento. Bisognerebbe evadere da una serie di prigioni che non consentono le interpretazioni politiche: come se tutto fosse riconducibile alla sola questione che ‘non si può parlare del governo prima che faccia le cose’. Questa è l’eutanasia della politica: è la prima ‘prigione’ in cui oggi ci troviamo. Come se la cultura del fare fosse interamente sostitutiva del pensare, del costruire progetti, mi permetta la parola: costruire ‘ideologia’ ma anche un programma con la P maiuscola”.

Fausto Bertinotti non nasconde gli “errori” della sua sinistra. Ma rivendica al tempo stesso il diritto di scandagliare questo tempo presente che sfugge ad ogni categoria “conosciuta fin qui”. E’ un diritto di tutti, sottintende l’ex presidente della Camera e segretario di Rifondazione Comunista ai tempi dell’alleanza con l’Unione di Romano Prodi. Un diritto che la comunità dovrebbe prendersi anche di fronte a un governo con un consenso popolare così forte: ne va dell’autonomia di pensiero e azione di una società civile. Ne va della democrazia. Visto che, dice, questo governo si muove tra “prigioni” e ha tutte le carte in regola per diventare un “regime”.

Sarà troppo tardi per pensarci?

“Intanto un governo si giudica da chi è. E la risposta è in genere determinata da una forza o da un’alleanza sulla base della quale uno dice ‘mi piace’ oppure ‘no, faccio opposizione’. Invece oggi questo semplice ragionamento esce depotenziato. Lo testimonia anche il dibattito alla Camera: tutto giocato sull’immediatezza, sulla battuta, si sta a guardare la postura del leader o il fatto che gli scappano i fogli degli appunti. Tutte cose che nel mondo che abbiamo alle spalle potevano interessare il binocolo di Gianpaolo Pansa, ma non facevano testo nel giudizio politico sul governo”.

Lei parla di prigioni.

“Si. L’altro elemento che imprigiona è la natura stessa di questo ‘contratto di governo’, non si può dire alleanza. Una natura che si può riassumere nella formula magica dell’omaggio ad un passato certo più leggero, ma fallito: vale a dire il ‘ma anche’ di veltroniana memoria. Fallito e chissà che porti male anche a loro. Ad ogni modo, nel suo discorso al Parlamento il presidente del Consiglio Conte recupera questa memoria veltroniana. A parte che dovrebbero trovare un’altra definizione al posto di ‘presidente del Consiglio’…”

Quale?

“Direi più un notaio, ecco. Comunque il ‘ma anche’ di Conte è illuminante, è l’equivalente programmatico del ‘non possiamo pronunciarci prima dei fatti’ ed eredita una delle potenze delle formazioni populiste. Cioè la loro vocazione trasversalista. Ci sono forze populiste di destra, come quella della Le Pen, trasversali come il M5s, di sinistra come Podemos. Il trasversalismo italiano è l’elemento portante di questo governo: sia nei Cinquestelle che nella Lega. Significa che tendi a dire che rappresenti tutti. Persino una forza di destra come la Lega, con i suoi tratti classici di destra, con la sua forma partito, organismi dirigenti e insediamento nelle istituzioni locali, persino la Lega è trasversale: lo è nella manifestazione del consenso perché becca parte importante di un popolo che tradizionalmente è di sinistra”.

E così questa trasversalità incredibilmente riesce a mettere insieme cose che sembrerebbero opposte come la flat tax e il reddito di cittadinanza.

“Certo. Ed è inutile scandalizzarsi per lo stridore di questo contrasto: lo scandalo è solo eredità di una cultura che tende a essere sospesa o cancellata nel nuovo corso. Il ‘ma anche’ è la sua cifra e, a differenza di quello veltroniano, è un pesante sociale, fatto di corpi sociali esercitabili solo attraverso i populismi”.

Vede altre prigioni?

“Il potere. Cosa complessa di cui questo nuovo sistema occupa solo un pezzo: il governo. Vale sempre la vecchia formula di Nenni che parlando dell’ingresso dei socialisti al governo con i democristiani, disse: ‘Sono entrato nella stanza dei bottoni ma i bottoni non c’erano’. Perché molti dei bottoni stanno altrove e il governo è un profeta disarmato. Nell’ultimo quarto di secolo la teoria della governabilità ha portato ad un’enfatizzazione del concetto di governo nella politica, quasi come scatola magica che però si è spesso rivelata un miraggio. I poteri si sono organizzati con la rivoluzione capitalistica in Europa, per dire. Nel nuovo regime il governo è quello che costruisce dei ‘contratti’ piuttosto che delle alleanze per formare il governo. Nella politica classica, che si è suicidata e che non è innocente, le alleanze servivano invece per definire un programma. Come si è visto nell’ultima crisi, non è più così: è il governo la calamita che chiede di essere costituito, è lui che produce il ‘metaprogramma’ e suggerisce le alleanze. Il governo diventa un soggetto politico, non è più la meta ma è invece ciò che promuove il tutto. Ma c’è un’altra prigione”.

Quale?

“I due, Di Maio e Salvini, si alleano perché, dicono, ‘siamo vincitori’. Ma questo è uno schermo: in nessuna parte del mondo possono vincere entrambi gli opposti, nemmeno se al loro interno hanno elementi di trasversalità come Lega e M5s”.

Perché invece in Italia è successo mentre in Spagna Podemos e Ciudadanos non si alleerebbero mai?

“Perché in Spagna sopravvivono forme classiche della politica, che convivono con le nuove. Tanto che incredibilmente i socialisti possono ancora fare il governo, anche insieme ai miei amici di Podemos e le forze catalane. E il partito conservatore era forza di governo fino all’altro ieri. Da noi invece le forze di governo sono completamente scomparse e le forze populiste occupano l’intera scena”.

Ma Di Maio e Salvini formeranno una vera alleanza o sono destinati alla competizione pur nel ‘contratto di governo’?

“Se queste prigioni non vengono abbattute, il gioco politico si riduce. Se diventano premesse al discorso pubblico, il duopolio è destinato a consolidarsi. O viene disvelato il meccanismo oppure la formula ‘facciamo opposizione’ è impotente. Perché non serve dire ‘torniamo nei territori’. Non lo puoi fare perché non lo sai fare: per farlo devi ricostruire te stesso. Per fare opposizione devi avere un’alternativa: loro ce l’hanno, tu no. Per ora l’opposizione è un battibecco perché non ha un’idea di società e democrazia”.

Ma chi è destinato a prevalere in questo governo: la Lega o i Cinquestelle?

“Già nella fase della soluzione della crisi la Lega ha sempre lasciato coesistere due ipotesi: andare a elezioni o fare il governo. Mentre i 5s non avevano alternative. E’ stato così evidente quando Salvini ha proposto Savona all’Economia. Ma dai: nessun negoziatore propone pubblicamente quello che è il punto di caduta delle sue trattative! E io di trattative ne ho fatte tante! Si tiene sempre coperta la carta della mediazione. Salvini l’ha esposta per mettere Mattarella di fronte ad una scelta: se accetti sei dimissionato, se non accetti andiamo a elezioni. Le cose sono andate diversamente e l’ha capitalizzata in un governo populista di destra a guida leghista”.

E ora?

“Le due ipotesi della fase della crisi – elezioni o governo – attraverseranno il ciclo futuro. O si stabilisce uno schema diciamo ‘moroteo’, cioè in stile Dc-Pci: forze diverse, due poli del sistema legati però da una legittimazione reciproca in un sistema di transizione che serve solo a regolare meglio alcune regole istituzioni, per poi sfidarsi alle elezioni e stabilire chi ha il monopolio del governo e chi quello dell’opposizione. Oppure convergono in una alleanza organica, maieuticamente costruita in questa esperienza di governo che finisce così per costruire un regime”.

Regime?

“Certo vanno banditi termini come ‘fascismo’: è fuorviante. Con ‘regime’ non intendo che arrivano i colonnelli, non intendo un regime che nasce uccidendo o arrestando i suoi avversari più pericolosi in stile Matteotti o Gramsci. Intendo invece tendenze di ‘democratura’ già esistenti in società post-democratiche. Orban, Erdogan, Putin, pur nelle loro diverse fisionomie, sono profeti di nuovi regimi post-democratici. Hanno un fortissimo consenso popolare: più che consenso, sono invocati dal basso, non sono vissuti come sopraffazione. Oggi questa è la tendenza forte. Anche se non è l’unica perché, dopo decenni di governi omogenei di centrosinistra, il tessuto europeo si sta scomponendo per via della crisi sociale che è il vero dominus della situazione: non la crisi economica ma qualcosa che corrode nel profondo il tessuto delle nostre società e determina un regime di instabilità sul quale si prova a mettere un coperchio come su una pentola in ebollizione. Diverse tendenze tanto che in Gran Bretagna potrebbe persino succedere che vinca Corbyn e la penisola iberica potrebbe diventare persino un’eccezione, con due governi di sinistra in Spagna e Portogallo”.

Significa però che c’è comunque una domanda che arriva dalla società.

“C’è una domanda che viene da questo popolo sconfitto. Del resto, Orban è uno che ha frequentato i campi della sinistra ungherese, non è una belva: è il prodotto di una scomposizione e di una ricomposizione. Tutti coloro che vanno in Ungheria dicono che ha un consenso popolare impressionante”.

Il sogno di Salvini.

“Il quale ha dalla sua un mondo che ‘naturaliter’ può essere leghista: prima che per scelta politica, per senso comune. C’è un movimento di fondo che va in quella direzione e questa è la base potenziale per la costruzione di un regime. Il fastidio per il dissenso è altissimo. Proprio così: fastidio, non contestazione critica. E’ proprio un non volerti prendere in considerazione come nei regimi popolari. Ricordo che in Fiat, nel periodo della strisciante repressione e costruzione del consenso con la messa fuori gioco della Fiom, la tesi di Valletta era che i lavoratori si dividevano in costruttori e distruttori: per salvare il bene della comunità, bisognava eliminare i distruttori. Ecco, così oggi il governo diventa ‘manifestazione popolare’. Il modello culturale è quello delle repubbliche popolari dell’est. Il contrasto non è più contrasto ma dissenso. Non c’è maggioranza e opposizione, c’è consenso e dissenso e la personalizzazione del dissenso. Gli attacchi di Salvini a Saviano sono indicativi di questo stato di cose. Chi dissente viene delegittimato. Non viene contrastato con la dialettica: viene sabotato”.

Dunque di questo passo Salvini ‘si mangerà’ un pezzo del M5s?

“Per usare un termine antico, direi ‘sussumere’, portarsi dentro l’alleato non perché l’alleato lo scelga ma perché non può fare altro. La faccia complementare alla delegittimazione dell’avversario è la cooptazione in un sistema di opinion leader e intellettuali che ti supportano. Questa degli intellettuali è una cosa che va molto indagata…”

Sono già cooptati?

“E’ un rischio alto e già se ne vedono i movimenti. Gli intellettuali sono molto trascinati a stare dentro l’onda quasi per ragioni di ruolo di intellettuale organico. E siccome non c’è più il polo di attrazione del movimento operaio, allora sei organico al governo. Quale governo? Il governo, il sacerdote del nuovo popolo.

Servono degli anticorpi: quali?

“Per chi pensi che ci vorrebbe una sinistra, il compito è ricominciare da capo. Per andare verso il popolo, devi sapere che il popolo è una costruzione: loro la stanno facendo, tu non hai nemmeno iniziato a fare il lavoro. Occorre costruire il popolo. Questo popolo di centrodestra è diventato così in tante parti del paese grazie all’assenza di alternative. Eliot usava una formula che può essere molto utile oggi per spiegare la crisi di consenso a sinistra. Di fronte alle chiese deserte, si chiedeva: è la chiesa che ha abbandonato il popolo o il popolo che ha abbandonato la chiesa? Il popolo si è disunito e si è venuto disgregando”.

L’HUFFPOST

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