Laureati, più lavoro ma precario e meno pagato

federico callegaro
torino

Solo il 30% dei 19enni decide di andare all’università e chi completa il ciclo di studi, una volta uscito guadagna meno di chi si è laureato nel 2004. Quasi nella metà dei casi, poi, è anche destinato a fare lavori che poco c’entrano con il suo titolo di studio. Sono alcuni dei dati usciti dall’analisi annuale di AlmaLaurea presentata ieri a Torino, un report che, nonostante alcuni miglioramenti rispetto all’anno scorso, presenta ancora numerose zone d’ombra nel rapporto tra formazione e mondo del lavoro e tra diritto allo studio e disuguaglianze. «Se al numero basso di iscrizioni aggiungiamo chi abbandona il percorso accademico, capiamo come mai il nostro Paese è fanalino di coda europeo per numero di laureati – dice Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea -. Un altro tema da segnalare è che nel percorso accademico conta tanto la provenienza socio-culturale dello studente e della sua famiglia. In questo siamo ancora un Paese non civile».

La polemica

Non manca nemmeno una bordata nei confronti del presidente degli industriali cuneesi Mauro Gola, che aveva consigliato ai giovani di andare subito a lavorare, invece che iscriversi all’università: «Quando si suggerisce ai giovani di non studiare e non fare studi definiti “umanitari” invece che umanistici, dimostrando in questa confusione di termini un’ignoranza totale, si veicola un messaggio sbagliato – dice Dionigi -. Se le nostre aziende pagassero bene, i laureati non andrebbero all’estero».

 

 

I dati sul lavoro

A un anno dalla laurea, in Italia, lavora il 71,1% di chi ha conseguito una triennale e il 73,9% di chi ha fatto anche il biennio specialistico. Un dato in crescita rispetto all’anno scorso (più 2,9% nel primo caso e più 3,1% nel secondo) ma ancora lontanissimo dai dati pre crisi: dal 2008 a oggi sono stati persi 17,1 punti percentuali per le triennali e 10,8 per le specialistiche. Rispetto al 2016, invece, diminuiscono i contratti a tempo indeterminato per i neo-laureati: -5,5% per chi ha preso la triennale e -7% per chi ha conseguito un titolo magistrale. Aumentano, invece, i contratti di lavoro a tempo determinato. Un aumento si registra anche per quanto riguarda il primo stipendio. In questo caso (nonostante il più 9,7% per le lauree di primo livello e il più 9,9 per le biennali) le medie di compensi sono ancora lontane da quelle precedenti alla crisi: a un anno dalla laurea triennale, nel 2007, un neo-assunto prendeva 1.314 euro, oggi, invece, 1.107. Stesso discorso per le specialistiche: 1.304 euro nel 2007 a fronte dei 1.153 di oggi. Tra le facoltà più utili per trovare un impiego conquistano la vetta della classifica ingegneria (94,6% di occupati a 5 anni dal titolo), medicina (93,8%) e Economia (91,9%). In fondo alla graduatoria rimane giurisprudenza con il 76,5% di occupati. Mentre gli studenti del Nord rimangono a lavorare al Nord (vanno via solo nel 10,2% dei casi), per quelli del Sud emigrare rimane quasi un obbligo: va via il 44,9% di loro (di cui il 25,6% raggiunge il Nord).

 

Studiare all’estero aiuta

Quando si cerca un lavoro a fare la differenza possono essere anche le esperienze maturate durante il percorso di studi. AlmaLaurea sottolinea che aver fatto un’esperienza all’estero attraverso programmi europei aumenta le chance di trovare un impiego del 14%. Aver svolto un tirocinio, invece, del 20,6% e aver lavorato occasionalmente duranti gli studi addirittura del 53%.

 

Le diseguaglianze

Quanto pesa la provenienza socio-economica di uno studente nel suo percorso di studi? Tanto. A partire dal fatto che scelga di studiare vicino a casa o no: il 36,1% di chi ha deciso di compiere «migrazioni di lungo raggio» per studiare, infatti, ha almeno un genitore laureato. Le matricole con genitori laureati, poi, hanno scelto con più probabilità un ciclo di studi magistrale mentre quelli con genitori non laureati un ciclo 3 più 2. La laurea continua a rimanere principalmente un affare per liceali: nel 2017 le matricole che arrivavano dal liceo erano il 67,2% (43,9 dallo scientifico e 16,3 dal classico). I diplomati in un istituto tecnico, invece, erano il 19% e dai professionali solo l’1,8%. E conta anche il reddito della famiglia: chi ha un Isee di 40 mila euro ha il 5% di probabilità in meno di abbandonare gli studi rispetto a chi ha un Isee inferiore.

LA STAMPA

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