Salvini premier di fatto
Vincitore su mari e su terra, Matteo Salvini ha raggiunto il dominio politico del paese, senza nemmeno farci perdere tanto tempo. Del che, almeno, gli siamo grati.
Grati di averci accorciato i dibattiti politici, intellettuali, politologici sulla natura del populismo italiano, sulla natura delle coalizione giallo verde, su cosa ci aspetta in futuro – chi vincerà fra i due soci di governo? Sarà alla fine una Italia più leghista, o più Pentastellata? Sarà una Italia in cui l’anima social-ecologica M5S prevarrà sul sovranismo della Lega?
Matteo Salvini nel giro di due giorni ha vinto ogni partita e ancora prima che si concludesse la formazione della squadra di governo, ancora prima che venisse convocato il primo Consiglio dei Ministri, ha preso una decisione, umana e politica, che ha cambiato volto al paese ed ha collocato l’Italia su una nuova frontiera di conflitti.
Ci esimiamo dal parlare di vergogna. Sentimento oggi tanto invocato quanto disprezzato. Parliamo di una sorella di questa Aquarius. Sorella maggiore lasciata a vagare senza meta e senza approdo con un carico di umanità che nessuno voleva: si chiamava Exodus 1947, e tutti noi la ricordiamo perché ci hanno scritto un libro, e fatto un film con Paul Newman; ma per gli ebrei fu solo uno dei molti viaggi della disperazione con cui migliaia di loro, dopo la guerra, cercarono di approdare, attraversando il Mediterraneo appunto, in Palestina. Incastrati anche loro, allora, dalle logiche dei trattati internazionali nella marginalità della Storia.
L’Exodus salpò ai primi di luglio del 1947 da Porto Venere. Una carretta del mare, coperta di ruggine, un goffo battello carico di quattro piani di cuccette, con 4.515 profughi ebrei sopravvissuti all’Olocausto. Non era la prima, e non fu l’ultima, su quella rotta.
Tra l’estate del 1945 e la primavera del 1948 si imbarcarono dall’Italia oltre 23 mila ebrei. Nessuna traversata fu semplice: l’arrivo di profughi in Palestina era stato bloccato a un numero di 75 mila entrate in cinque anni, secondo gli accordi del dopoguerra che avrebbero dovuto fermare il conflitto arabo-palestinese. Lo Stato di Israele, in questi accordi, non era previsto. La Gran Bretagna, che aveva il Mandato per la Palestina, combatté in tutti i modi l’arrivo dei profughi ebrei.
Nel maggio del 1946 l’immigrazione clandestina ebraica divenne un caso internazionale: l’Inghilterra bloccò la partenza dal porto della Spezia di due imbarcazioni, la Fede di Savona e il motoveliero Fenice, cariche di 1.014 persone. I profughi rimasero bloccati sulle navi, in condizioni disastrose, e partirono solo grazie all’aiuto di varie città di mare italiane, l’intervento dei giornalisti di tutto il mondo e la visita a bordo di Harold Lasky, presidente dell’esecutivo del Partito laburista britannico. Nella notte tra il 7 e l’8 maggio 1947 salpò quindi la nave Trade Winds/Tikva, allestita in Portogallo, con 1.414 profughi imbarcati a Porto Venere. E a luglio la Exodus, che con i suoi 4.515 passeggeri era la più grande impresa di trasferimento illegale di clandestini nel Mediterraneo.
Exodus mosse da Porto Venere, sostò a Port-de-Bouc, caricò a Sète, fu assalita e speronata dai cacciatorpediniere britannici davanti a Kfar Vitkin, proprio quando era in vista la costa della Palestina. Ci furono morti a bordo e la nave fu sequestrata dalla Corona. Gli inglesi rimandarono i profughi ad Amburgo, al campo di Poppendorf, un ex Lager trasformato in campo di prigionia per gli ebrei. Solo con la fine del mandato britannico i profughi poterono tornare in Palestina, quando la nave, insieme con altre, salpò di nuovo dal Golfo della Spezia. La vicenda fu narrata nel 1958 da un celebre romanzo di Leon Uris, e nel 1960 da un film di Otto Preminger interpretato da Paul Newman e Eva Marie Saint.
Il Mediterraneo, il mare nostro, è sempre stato l’acqua su cui galleggiano i nostri ricordi, le nostre identità e le nostre coscienze. Oggi Israele è una potenza ma allora gli ebrei erano solo una massa di persone senza nome e senza volto, senza passato e senza futuro. Il Mediterraneo fu il loro purgatorio, la loro culla ma anche la loro speranza.
Allora gli italiani scelsero l’umanità. E, con tutte le contraddizioni, le fatiche, le lacerazioni e i dolori , hanno cercato negli anni di continuare a fare questa scelta.
Questi illegali di oggi con la pelle nera sono i nuovi perseguitati che scappano dall’Olocausto nascosto della globalizzazione. Ma guai a dire questo oggi.
Il consenso di cui Salvini gode gli dà ragione su tutta la linea: l’Italia, dice il leader leghista, è cambiata, l’Italia si è alzata in piedi; finalmente si è tolta dal giogo di chi la vuole sottomessa a dover pagare per tutti. L’Europa innanzitutto, e poi i buonisti, gli ipocriti, i comunisti ( ca ne son ancora pare) , e , persino, i Cardinali – se dobbiamo stare agli insulti rivolti al Cardinal Ravasi dopo un suo tweet sulla non accoglienza.
Non c’è dubbio su una cosa : nessuno può oggi chiamarsi fuori dalla situazione esplosiva che si è creata nel nostro paese, dalla corresponsabilità delle scelte fatte in questi anni. Certo non la sinistra, che ha trattato la questione della accoglienza con esitazione, incertezza, mancanza di chiarezza, vagando alternativamente fra politiche da struzzo e politiche velleitarie. Certo non può sottrarsi alle responsabilità l’Europa che avendo chiuso per prima le sue frontiere, non avendo mai punito Orban, ma nemmeno la Francia che ha lasciato sulla spiaggia di Ventimiglia (dal lato italiano) un gruppo di uomini senza destino, non avrà certo molto da dire in sua difesa per aver abbandonato, come ha detto la Cancelliera troppo tardi, “l’Italia sola di fronte al problema dell’immigrazione”.
Ma anche davanti a ogni discorso sociologico, o a ogni ansia, la politica deve potersi fermare un attimo e i governanti hanno comunque come primo dovere la responsabilità di chi guida. Questa responsabilità è stata osservata?
Il problema qui è anche (fortissimamente) di rispetto dell’essere governo. Perché un governo, anche quando vive di maggioranze straripanti, come ora, rimane un bene di tutti. Era davvero questo, Salvini, il modo per affrontare il problema, qui e ora? Davvero l’arrivo di qualche centinaia di profughi dopo un calo del 78 per cento degli sbarchi (ottenuto per altro da un ministro, Minniti, che per questo ha pagato un caro prezzo di critiche) richiedeva tale misura e tale precipitazione? Non richiedeva invece, proprio per la sua radicalità e impatto, forse una decisione più chiara, più soppesata, più collegiale?
Facciamo qui notare che la decisione del nuovo Ministro degli interni, è stata presa non solo tagliando i ponti delle nostre banchine, ma anche tagliando i ponti con le regole del funzionamento del governo. Non c’è ancora una squadra di governo completa – come detto – doveva essere discussa in un vertice ieri a Palazzo Chigi con i due vicepremier, proprio quando è arrivato l’annuncio della chiusura dei porti. Il Premier era appena sbarcato da un lungo viaggio in Canada, il Consiglio dei Ministri non si è ancora mai riunito, e il Parlamento non è ancora in funzione.
Ma l’urgenza, il tagliar gli angoli, la politica d forzare le istituzioni è il sistema di cui vive Salvini. Che è poi, e lo abbiamo già scritto in tanti, è il sistema del populismo
Il Capo della Lega, nonché Ministro degli Interni, muovendosi in questo modo, rapido e individuale, ha certo ottenuto quello che voleva, e in pochissimo tempo. Ha vinto una nuova mandata elettorale, ha ingoiato un debole Premier, e messo il suo timbro sulla cautela del Movimento 5 stelle ancora impegnato a saggiare le acque del governo, a trovare vie di correttezza politica, a costruire legittimità con le istituzioni, europee e italiane.
Agendo in questo modo Matteo Salvini ha aggiunto al suo ministero e al suo essere segretario di partito anche il ruolo di Primo ministro. Primo Ministro di fatto.
Come continuerà ad essere, con questi metodi. Fino a che non si sentirà forte a sufficienza da rompere le alleanze, fare nuove elezioni e prendersi il titolo vero da Premier, e tutto il resto.
L’HUFFPOST