La tela strappata tra Roma e Parigi
Tutti contro tutti, in questa Europa che vacilla. Ma lo scontro tra Italia e Francia ha un sapore ancora più amaro dei conflitti prodotti dalla non volontà di ammettere che l’emergenza è stata affrontata ignorando le difficoltà di chi è più esposto (come noi) all’ondata dei dannati della Terra. Forse sarebbe stato possibile, invece, trovare un linguaggio comune tra due Paesi non governati da quelle famiglie politiche che hanno garantito uno status quo messo a dura prova da nuove insofferenze. Erano giunti segnali in questa direzione dopo la nascita del governo Conte. Ma le parole di ieri sono una svolta. Sembrano passati secoli dai risolini di Sarkozy (e di Merkel) sull’affidabilità dell’Italia. La tela è più strappata.
Come ha detto il presidente del Parlamento europeo Tajani, «il problema dei migranti rischia di far esplodere contraddizioni che faranno un danno enorme». Sta accadendo così. È inutile dire che l’iniziativa del ministro Salvini di negare l’approdo alla Aquarius è stata un gigantesco sasso gettato in un Mediterraneo nel quale l’Italia non ha mai ricevuto la solidarietà necessaria. Quando le muraglie di acqua prodotte da questo tsunami si ritireranno, non sarà facile ricostruire. Dovremmo però avere le idee più chiare: questa battaglia non si può vincere da soli.
Forse sarebbe stato troppo «buonista» sperare che Salvini gettasse il suo macigno sul tavolo del Consiglio europeo invece che nel mare. Ma, qualsiasi siano gli obiettivi di un’azione, è necessario tessere una strategia delle alleanze. Anche perché le politiche dei «falchi» europei, i cui interessi sono opposti ai nostri, contribuiscono da sempre a creare il contesto in cui l’Italia «è stata lasciata sola». In questo quadro si inserisce Emmanuel Macron e le sue accuse al governo italiano di «cinismo irresponsabile». Il punto debole del presidente francese, come molti fonti diplomatiche hanno osservato, è stato un ondeggiamento di posizioni spesso difficile da comprendere. Fatte salve alcune idee-forza, come un europeismo limpido nei principi, la sua tattica è stata spesso contrassegnata da svolte improvvise oppure è stata condizionata dagli alti e bassi del rapporto con la Germania, soprattutto nel cammino delle riforme sul funzionamento della zona euro.
Il rapporto con l’Italia ha subito le conseguenze di questa situazione. Non è un caso che mentre a Berlino compiva i primi passi la nuova «grande coalizione» tra cristiano-democratici e socialdemocratici, il leader francese e l’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni mettevano le basi di quel Trattato del Quirinale che potrebbe avere il compito, se il lavoro preparatorio arriverà a risultati positivi, di rendere più forti le relazioni bilaterali «al servizio dell’intera Unione». L’idea era quella di una Europa più sovrana e più unita, in grado di diventare, nelle parole dell’Eliseo, «una potenza energetica, ambientale e digitale».
Il cambio di stagione seguito alle elezioni del 4 marzo ha complicato le cose. Ma, nonostante questo, un rapporto positivo con l’Italia a Parigi era stato giudicato indispensabile. Ecco la telefonata di Macron a Conte, ecco l’invito all’Eliseo. Che cosa è successo? Qual è la ragione dei furibondi interventi di ieri? L’impressione è che l’esigenza di inviare un messaggio politico all’opinione pubblica, anche italiana, sia prevalsa sul pragmatismo della ricerca di nuove geometrie diplomatiche. Non è un mistero che in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo Macron si stia muovendo per rompere da una parte l’egemonia popolare e socialista e per sconfiggere dall’altra il pericolo di un primato populista nell’assemblea di Strasburgo. Si spiegano così, probabilmente, le accuse di ministri e portavoce. Va aggiunto che, comunque si possa giudicare la mossa di Salvini, dalla Francia sono venute molte critiche ma poche proposte di soluzione.
Una parola molto usata in questi giorni è «ipocrisia». Certo, non si può negare che la Francia abbia avuto in questi anni una linea durissima nei confronti dei migranti che ha spesso violato i più elementari diritti: confini blindati, brutalità delle forze dell’ordine, intransigenza, mancanza di umanità. È ancora vivo il ricordo della donna incinta fatta scendere a forza da un treno proveniente da Ventimiglia. Nel marzo scorso, poi, cinque agenti delle dogane francesi, armati, fecero irruzione in una sala del centro migranti di Bardonecchia, in territorio italiano, per eseguire un controllo. «Altro che espellere i diplomatici russi, qui bisogna allontanare i diplomatici francesi», dichiarò Salvini, aggiungendo che l’Italia non avrebbe più preso «lezioni» da Macron e Merkel. Le polemiche di allora costituirono un primo segnale di allarme che non è stato raccolto. Ora si tratta di proseguire un confronto, lasciando da parte gli insulti. Perfino il generale De Gaulle riteneva che un Paese avesse bisogno di amici. E non di nemici, come sembrano credere Macron e Salvini.
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