La Fed alza i tassi, 4 rialzi nel 2018. Ora la parola passa a Draghi
La Fed alza i tassi di interesse di un quarto di punto e segnala due ulteriori aumenti del costo del denaro nel 2018 sulla scia di un’economia che cresce «solida», di un mercato del lavoro «forte» e di un’inflazione in aumento. La previsione di quattro aumenti complessivi quest’anno gela Wall Street, che gira subito in negativo, in attesa anche di Mario Draghi che potrebbe annunciare, domani, giovedì, da Riga, la tempistica per la fine del quantitative easing.
L’economia americana «sta facendo molto bene» afferma Powell illustrando la decisione della Fed di rialzare i tassi di un quarto di punto in una forchetta fra l’1,75% e il 2,00%. Si tratta della seconda stretta dell’era Jerome Powell e della settima dal 2015, quando la banca centrale americana ha iniziato il ciclo di rialzi dopo la crisi finanziaria. Annunciando una svolta in termini di trasparenza con conferenze stampa dopo ogni riunione, Powell si impegna ad andare avanti con «aumenti graduali dei tassi» perché rialzi «troppo veloci o troppo lenti» possono essere dannosi. La «politica monetaria resta accomodante» rassicura il presidente della Fed dopo che la banca centrale ha rivisto al rialzo, da tre a quattro, il numero di rialzi stimati per il 2018.
Una revisione che ha colto di sorpresa Wall Street: dopo una seduta trascorsa in attesa, i listini americani girano in territorio negativo con l’annuncio vedendo `tradite´ le proprie attese. Per il 2019 la Fed stima ulteriori tre aumenti dei tassi. Il comunicato diffuso al termine della due giorni di riunione si presenta decisamente più stringato del passato, con la banca centrale che ha rimosso ogni riferimento alle rassicurazioni su tassi bassi per un periodo prolungato.
La decisione unanime di alzare il costo del denaro è legata a un’economia americana forte, che cresce quest’anno del 2,8% con il taglio delle tasse da 1.5000 miliardi di dollari di Donald Trump che sostiene la domanda. Ma anche un mercato del lavoro robusto, con un tasso di disoccupazione che la Fed stima quest’anno al 3,6%, in ulteriore calo rispetto al 3,8% previsto in marzo. Sul fronte dell’inflazione si assiste a un recupero, con i prezzi stimati sopra al 2% nel 2018 e nel 2019.
La stretta della Fed arriva alla vigilia della Bce che si riunisce a Riga per il consueto appuntamento annuale fuori dall’Eurotower. Padrone di casa è la banca centrale lettone, il cui governatore Ilmars Rimsevic, travolto dalle accuse di uno scandalo finanziario, non voterà né incontrerà Draghi. Gli economisti sono divisi se aspettarsi già domani che la Bce formalizzi l’uscita dal Qe, indicando un probabile ridimensionamento a ottobre-dicembre dagli attuali 30 miliardi di dollari di titoli acquistati al mese per poi azzerare da gennaio in poi, o se l’annuncio formale arriverà a luglio. Sembra probabile, in ogni caso, che Draghi dia almeno un’indicazione di massima sulla exit strategy dal Qe, preparando gli investitori all’eventuale `calendario´ che arriverebbe a luglio.
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