“Il governo? Lo faccio io”. Il sistema Parnasi e quella cena con Giorgetti
E così, a un certo punto, Luca Parnasi sentì di avercela fatta, di aver scalato il paradiso. Era il 15 marzo scorso. Quel giorno il costruttore non riuscì proprio a trattenere la soddisfazione, e sbottò, tronfio, con il suo commercialista: «Il governo lo sto a fare io, eh! Non so se ti è chiara questa situazione».
Non erano parole di vanagloria. Il commercialista non sapeva – ma la procura e i carabinieri del Nucleo investigativo di Roma che indagavano, sì – che due giorni prima c’era stata a casa Parnasi una cena riservatissima a tre. Presenti il padrone di casa, il plenipotenziario grillino Luca Lanzalone e il potentissimo leghista Giancarlo Giorgetti. Una cena preparata con tutti i crismi. «Dobbiamo essere super-parati perché se ci vedono siamo fatti, eh…», spiegava Parnasi a Lanzalone che la faceva facile e pur di conoscere Giorgetti avrebbe pure preso un caffè al bar.
Tre amici a cena
La cena segreta era stata preparata da lunghe chiacchierate tra Parnasi e Lanzalone, il 9 marzo, con intermezzo di sms a Giorgetti. Sicuri di non essere intercettati, e guarda tu invece che fanno le microspie. I due si erano annusati a sufficienza sullo stadio, ma ora, una settimana dopo le elezioni, era il momento dello scambio di favori. Perciò Parnasi chiese a Lanzalone di presentargli Luigi Di Maio. Lanzalone: «Allora io vedo Luigi tutti i giorni, lo sento tre volte al giorno, l’ho visto due ore fa, lo risento domani mattina. Però in giro non lo dico, perché per la cosa che fai… parlare poco… con nessuno…». Parnasi: «Sai, io, guarda, su questo… ». Lanzalone: «Luigi è un po’ come… come Salvini… cioè molto chiuso il cerchio. Io, due, tre persone, punto…
Con la gente non dire mai cose … coseee … cose che non si devono dire». Parnasi: «Io questo gli ho detto a Giancarlo… Comunque si sono fidati di me in tempi non sospetti».
Di contro, Lanzalone volle conoscere il leghista che conta da dietro le quinte. E Parnasi era felice di farli incontrare. Parnasi: «Tieni questo rapporto, sai come fare, non chiedere niente». Lanzalone: «No, no…». Parnasi: «Vai tu diretto». Lanzalone: «Comunque, se la faccio informo a te perché è corretto che…». Parnasi: «Sì, informami, ma fino a un certo punto… perché deve anche essere importante che il rapporto sia tra voi». Lanzalone: «Perché tu lo conosci di più e quindi…». Parnasi: «Se hai bisogno sì… Se hai bisogno… Però tieni conto che io parlo anche con Matteo direttamente. Però in questo momento, Giancarlo…». Già, Giancarlo.
«Noi uomini del business»
Parnasi, all’avvocato Luca Lanzalone, che ieri si è dimesso dalla presidenza dell’Acea, ci teneva a chiarire: «Noi siamo uomini del business». Sottintendeva che gli affari vengono prima di tutto. Non per niente aveva messo a punto il metodo Parnasi. Ovvero soldi a tutti. Sempre istruendo il suo commercialista, Talone, sui 25 mila euro da dare al forzitalista Palozzi, il costruttore a un certo punto dice: «Domani c’ho un altro meeting dei Cinque Stelle… perché pure ai Cinque Stelle gliel’ho dovuti dare eh… mica che…».
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Tutto ruotava attorno allo stadio della Roma, che necessitava di mille permessi, e a ogni passaggio era una polemica, uno stop, e una mazzetta. Ma non solo. Il 16 giugno 2017, Parnasi chiama Lanzalone al telefono: «Io sto organizzando questi altri tre pranzi con calma con le tre persone che ti ho indicato». Lanzalone: «Sì, ma adesso non prenderlo come un lavoro, mi dispiace ecco non voglio romperti le scatole più di tanto». Parnasi: «Ma quale lavoro, però, ripeto, è una persona che nel mondo della Chiesa è molto importante, persona molto seria, che secondo me vale la pena che conosci, poi veramente per me è una persona di famiglia. Poi Emanuele Caniggia (amministratore delegato del fondo immobiliare DeaCapital, partecipato dalla De Agostini e dall’Inps, ndr), è sicuramente una Sgr importante, che insomma ha tanti rapporti… comunque un gruppo importante. E il terzo è la fondazione Crt, che comunque per carità anche se opera a Torino però secondo me ha un senso».
Indagati Bisignani e Malagò
Risultano indagati il faccendiere Luigi Bisignani e il presidente del Coni, Giovanni Malagò. È noto che questi fosse a favore del nuovo stadio della Roma. C’è però un dettaglio che gli investigatori stanno passando al microscopio. Nel marzo 2017, il Coni aveva dato un primo parere favorevole al progetto Parnasi. A metà settembre, invece, un comitato tecnico solleva un’enorme grana: i parcheggi previsti non rispecchiano le normative. Ai progettisti gli viene un colpo. Un collaboratore si sfoga con Parnasi al telefono. Hanno già il fiato sul collo di Jim Pallotta, il presidente della Roma che non ne può più dei ritardi. Parnasi, fattosi raccontare il tutto, conclude brusco: «Mandami il documento che ci penso io». Tempo due mesi e il Coni rilascia un parere del tutto favorevole. I parcheggi sono sempre là dove erano stati progettati; evidentemente qualcuno ha fatto cambiare idea al comitato tecnico. Chi? Non casualmente, le informative dei carabinieri si dilungano da questo passaggio in poi sull’amicizia stretta tra Malagò e Parnasi.
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I vincoli del Sovrintendente
L’inchiesta della procura di Roma dedica largo spazio anche al sovrintendente Prosperetti, il dirigente che per conto del ministero dei Beni culturali dovrebbe vigilare sul patrimonio di Roma. Prosperetti è indagato per corruzione anche lui e il ministero ha avviato ieri un’inchiesta interna. Prosperetti doveva pronunciarsi su un vincolo che tutelava l’ippodromo di Tor di Valle, da lui eliminato. Parnasi affidò un ricco incarico all’architetto Paolo Desideri, che è anche il datore di lavoro di Beatrice Prosperetti, figlia del sovrintendente. E il vincolo sparì.
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