Stavolta impossibile salvare Virginia

Alessandro De Angelis Vicedirettore, L’Huffpost

Da eterna vittima di un sopruso che si perpetua “a sua insaputa”, come nel caso Marra che riceveva i soldi dall’immobiliarista Sergio Scarpellini, perché l’ex capo del personale “è uno che conta”. O come sulla storia delle polizze di Romeo o dei rifiuti, in questa spericolata cronaca di mal governo o di non governo di Roma. Ogni volta parte lesa per definizione, che annuncia querele a nome dei romani, come se il “sistema” non fosse frutto di una mancanza di controllo e di capacità di governo. La catastrofe politica e – perché no – la bancarotta morale del Movimento a Roma è anche in questa reazione a favor di telecamera del sindaco Raggi francamente ai limiti dell’offensivo, perché è offensiva la posa da spettatore di un contesto di cui un sindaco porta la responsabilità oggettiva e che si erge a vittima perché “scomoda” (a chi?) e “donna” (sic!).

Non è questione di giustizialismo, di processi sommari, né accuse di perdita di verginità. È una questione di responsabilità politica di fronte al contesto di cui ha la responsabilità del governo o del non governo. C’è, ai domiciliari, con l’accusa di essere un corrotto sulla vicenda dello stadio di Roma, il suo principale consigliere – certamente imposto dai vertici del Movimento, ma non è una giustificazione – premiato con la nomina di presidente di Acea; il capogruppo è indagato assieme a un assessore municipale e ad altri due esponenti candidati alle politiche. C’è, nelle carte dell’inchiesta, lo scenario di una corruzione “sistemica”, che ha infiltrato e inglobato chi si è presentato come il riscatto dal malaffare.

Vale, per la Raggi, quel criterio di “responsabilità” politica che valeva anche per gli altri sindaci, come Gianni Alemanno. Ovvero delle due l’una: o la Raggi è complice, ove la complicità è anche tolleranza e far finta di non vedere, o è incapace. Incapace di prevenire, vedere, controllare, selezionare, appunto governare, perché il primo antidoto alla corruzione è la capacità di governo, per cui occorre solo un buon sindaco e non un pubblico “ispettore” di polizia. In entrambi i casi appare inesorabilmente bruciato il sindaco che Luigi Di Maio presentò al paese come il suo San Giorgio contro il Drago della corruzione, nella città divorata da Mafia Capitale. Dove Salvatore Buzzi, il capo delle cooperative condannato a 19 anni di reclusione, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, teneva la politica al libro paga: “Questo – si leggeva nelle intercettazioni – è il momento che paghi di più perché ci stanno le elezioni comunali. Poi li paghi a percentuale su quello che fanno”. Cinque anni dopo, nella città eternamente avvolgente e uguale a se stessa, il costruttore Luca Parnasi unge gli ingranaggi del nuovo potere alla vecchia maniera, secondo l’ipotesi accusatoria. “Spenderò – si legge in un’intercettazione – qualche soldo sulle elezioni. Ci giochiamo una fetta di futuro. È un investimento e io lo devo fare…”.

Ecco, nella domanda c’è il giudizio: che cosa è cambiato? E c’è, sempre nella domanda, la gigantesca questione politica che la vicenda pone, ben oltre il fallimento della Raggi, che passerà alla storia come una figura “minore dalla politica italiana”. E riguarda la fragilità del modello di governo dei Cinque Stelle, di cui Roma rischia di diventare un caso di scuola. L’idea cioè di una separazione tra politica e tecnici: ai politici il compito di fare le campagne elettorali e di prendere il potere, ai tecnici, magari amici, il compito di amministrare e governare. Come se l’amministrazione o il governo, sia lo stadio di Roma o sia un decreto a livello nazionale, fossero appaltabili a dei Mr Wolf come Luca Lanzalone, l’avvocato che ha lavorato per Beppe Grillo e diventato uomo di fiducia di Casaleggio che, prima di mandarlo a Roma ad aiutare la Raggi, lo aveva spedito a Livorno ad aiutare Nogarin sulla questione dei rifiuti. Un tecnico.

È questo il punto che proietta l’instabilità del caso Roma a livello nazionale: l’idea cioè che la politica possa essere annullata perché tanto ci pensano gli esperti a fare le cose, si chiamino Marra o Lanzalone, senza prendere atto, neanche davanti a un fallimento, che il sapere e l’expertise tecnica non sono mai neutri o irrilevanti. Ma il sapere e l’expertise sono politica, perché non c’è politica intesa come un marchio separata dalla gestione del governo, per cui tutti interscambiabili basta che sono affiancati da “chi sa le cose”. Il rischio sistemico, evidente, è di riprodurre con questa logica a livello nazionale la stessa figura di Roma. Chi governerà davvero il paese per il Cinque Stelle? Gli acerbi ministri poco avvezzi ai complicati dossier o i Mr Wolf che si metteranno attorno? E l’anticorpo per questo virus è mettere in discussione questa logica o infiltrare nelle pubbliche amministrazioni e nei ministeri un esercito di agenti provocatori, intesi come controllori della moralità pubblica? Roma è questo, è il default di una Giunta, ma anche di un modello.

L’HUFFPOST

 

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