La versione di Di Maio
“Il primo ad essere scontento sono io”. Di Maio, lo abbiamo ormai imparato, non è un tipo da evitare difficoltà. Se avesse quel difetto avrebbe gettato da parecchio la spugna – cosa di cui è consapevole, come ricorda spesso, anche in questa intervista, ripetendo la battuta: “E quando mai non è colpa di Di Maio?”. Così, quando risponde a una domanda sullo scontento dentro il Movimento sulla inchiesta romana con quel “il primo scontento sono io”, intende, appunto, riconoscere le difficoltà e, insieme, assumersele. Parte della reazione a questa inchiesta è, per dire, l’annuncio di un nuovo codice sulle donazioni, che obblighi alla trasparenza sui nomi delle donazioni ai partiti politici. Il codice, dice Di Maio, sarà “retroattivo, di almeno due legislature”. Una bomba a orologeria sull’attuale parlamento, e sulla recente storia del nostro paese.
Tante difficoltà. Diciassette giorni di governo sono stati turbolenti come mai prima nella vita di questa forza politica. A una campagna elettorale fatta “in carrozza”, sulla rotta di un successo che appariva inarrestabile, dal giorno Uno del Governo si è scaricata sui pentastellati una tempesta di atti, polemiche, decisioni, e, infine, dubbi. Dal giorno Uno, il leader leghista ha settato l’agenda dell’intero governo sull’immigrazione, dilagando in campi e competenze di ministeri – Esteri, Difesa, Palazzo Chigi, Infrastrutture – con scarsissima collegialità, dando l’impressione di non consultarsi con i suoi alleati né con l’inquilino di Palazzo Chigi Conte. Al punto da divenire, agli occhi dell’opinione pubblica, il premier “di fatto” del paese. Ma ” è un complesso che io non ho”, risponde, in merito, con certa ironia Di Maio.
E mentre i pentastellati stavano ancora dipanando questo problema di equilibrio, di accordo politico, di protagonismo e linea comune, ecco arrivare una inchiesta su Roma, con accuse ben conosciute nella Capitale – il solito giro corruttivo fra palazzinari, funzionari pubblici, e politica – ma con una novità : questa volta un pesce grosso preso in rete, anzi forse il più grosso, l’avvocato Lanzalone, tecnico di grande standing, chiamato dai Cinque Stelle per salvare il sindaco Raggi e il comune della Capitale, è parte del giro. Provocando così l’apertura di un nuovo capitolo nella vita pentastellata, quello più pericoloso, quello del dubbio sulla loro diversità: non sarà che alla fine sono come tutti gli altri?
Luigi Di Maio risponde in questa intervista, la prima dopo tutti questi eventi, in dettaglio e senza evitare domande. Intervista lunga – prendetevi un po’ di tempo – che abbiamo lasciato apposta del tutto integra. Proprio perché gli abbiamo girato tutte le domande che agitano il nostro dibattito – dal ruolo e l’origine di Lanzalone, ai rapporti con Salvini; dalla questione morale dentro i 5 stelle, alla proposta di nuovo codice per sanare la questione dei contributi dei privati alla politica; dalle dimissioni di Raggi alla linea sulla immigrazione – in Libia “tuteleremo i diritti umani” . Non vi anticiperemo le risposte. Solo una è qui da segnalare nel giorno partenza del premier per Berlino: l’ottimismo sui rapporti futuri con l’arcinemica Angela Merkel.
Vicepremier, partiamo dalla notizia del giorno: la riforma dei finanziamenti ai partiti e la relativa trasparenza che vi accingete a proporre sarà retroattiva?
Sì, abbiamo bisogno di una banca dati che contenga le informazioni relative ai finanziamenti ai partiti e alle fondazioni ad esso riconducibili relativa almeno alle ultime due legislature. Se non sarà possibile rendere pubblici erga omnes le informazioni risalenti a prima della riforma, istituiremo un registro che sarà accessibile su richiesta. Ma in ogni caso la retroattività dovrà esserci. Considerati gli attacchi che ci sono negli ultimi giorni nei nostri confronti deve essere chiaro che noi non abbiamo nulla da nascondere. E vogliamo vedere chi in questi anni ha preso veramente i soldi e dove se li è andati a prendere. Oggi l’associazione Rousseau, che non sarebbe tenuta a farlo, depositerà alla Camera il suo bilancio con tutti i donatori.
Rendere pubblici i bilanci di fondazioni e associazioni vicine alla politica sarà tecnicamente un’operazione complicata. Crede che il problema sia risolvibile?
Credo di sì, perché il Parlamento è sovrano, e dovremo studiare i modi per farlo. Dopotutto sono molti i casi nell’ordinamento nei quali si debbono contemperare gli obblighi relativi alla privacy con quelli concernenti la trasparenza. A prescindere, quel che avverrà dall’approvazione della riforma in poi sarà fondamentale, perché chi dà soldi a una forza politica lo dovrà dire apertamente. E sarà molto importante la tempistica.
In che senso?
Nel senso che io voglio sapere anche durante la campagna elettorale chi dà soldi a chi, e non solo a urne chiuse. La tecnologia ci verrà in aiuto da questo punto di vista.
Questa è anche una vostra risposta ad alcuni attacchi che vi sono stati mossi relativamente all’ultimo caso giudiziario che ha coinvolto Roma?
È assurdo che il Movimento 5 stelle sia sotto attacco quando sono stati arrestati un ex esponente Pd della giunta regionale di sinistra, Michele Civita, e uno di Forza Italia, Adriano Palozzi. Noi siamo stati gli unici che in questa storia non hanno preso soldi. Poi le responsabilità di Luca Lanzalone, se verranno accertate, sono gravissime, sia dal punto di vista giudiziario sia da quello etico. Se dobbiamo essere colpevoli di esserci fidati dell’avvocato sbagliato, allora, senza offesa per questi ultimi, siamo in compagnia di milioni di italiani.
Lei parla di responsabilità di Lanzalone. Crede che a questo punto per i 5 stelle si ponga una questione morale?
Ho sentito dire molto negli ultimi giorni che abbiamo perso la verginità. È un’accusa che abbiamo ricevuto molte volte in questi anni. È capitato negli scorsi anni che qualcuno nel Movimento, e parlo anche di esponenti politici oltre che dei professionisti che ci sono ruotati attorno, fosse coinvolto in inchieste. Noi abbiamo sempre reagito espellendole. Di Lanzalone ho chiesto immediatamente le dimissioni, e in passato abbiamo avuto sindaci di partiti che hanno continuato a essere tali senza che nessuno gli chiedesse un passo indietro.
Il suo è un no?
Credo che abbiamo sempre affrontato la questione morale prendendo immediatamente le decisioni opportune. Per esempio: Paolo Ferrara, capogruppo in Campidoglio, si è autosospeso subito. I nostri anticorpi ci consentono sempre di affrontare i problemi delle persone che sbagliano.
Su questa vicenda sembra ci siano molti scontenti all’interno del Movimento. Lo nega?
Il primo scontento sono io. Nelle intercettazioni ho letto che c’erano molte persone che andavano in giro a parlare a nome mio, altri che si autodefinivano “il mio braccio destro”. Una roba alla “Mi manda Picone”, per citare il famoso film di Nanni Loy. Ma sono anche consapevole che abbiamo tutte le risorse per superare questa situazione. E soprattutto rimandiamo al mittente tutte le critiche di un’opposizione, che è coinvolta in prima persona nell’inchiesta.
Però è ovvio che nel mirino ci sia chi nel corso del tempo ha più elevato i propri standard di moralità e trasparenza. Voi su questo aspetto l’asticella l’avete innalzata molto.
È vero. Però dico anche che va riconosciuto che nel giro di 24 ore abbiamo chiesto le dimissioni di Lanzalone e che Ferrara si autosospeso. Non ho visto il Pd e Forza Italia prendere gli stessi provvedimenti. Chi ci critica abbia il coraggio di fare come noi. Per esempio di rendere noti, senza aspettare la legge, tutti i finanziamenti ricevuti in questi anni, tra i quali ci saranno anche quelli di Luca Parnasi, che ha finanziato esponenti del Pd, di Forza Italia.
Sembra anche della Lega.
Lo stesso vale per la fondazione del Carroccio. Dico semplicemente: noi faremo una legge, ma per chi vuole esserlo da subito non ha la necessità della legge per rendere tutto pubblico.
Lanzalone nelle intercettazioni dice che la sentiva quotidianamente, anche tre volte al giorno.
Non rinnego che Lanzalone sia una persona che ci ha dato una mano su dossier importanti. Ma quando si sfocia in un meccanismo per il quale le persone si accreditano usando il mio nome, ecco questo mi preoccupa, perché potrebbe valere per chiunque. In un ambiente tra l’altro a me estraneo. Io non ho mai conosciuto Parnasi, non ho mai avuto niente a che farci, mentre da quel che leggo diceva di star facendo il governo per me.
Ma lei quante volte al giorno lo sentiva Lanzalone?
Le tre volte al giorno è una cosa fuori dalla grazia di Dio. Ci sono stati periodi nei quali ci sentivamo spesso, come quando ha contribuito alla stesura del nostro nuovo Statuto. Al di là del numero, era una persona che aveva lavorato bene con noi a Livorno, e che poi la sindaca Raggi aveva individuato come presidente di Acea.
Quella Acea con la quale, come le ha detto, lo avete “premiato”. Si è pentito di avere usato questo termine?
Quello che è stato premiato è stato il merito. Una persona che gestisce il concordato in continuità di una partecipata a Livorno che stava morendo in maniera brillante, e che a Roma viene individuata come riferimento dalla sindaca, va premiata, ma perché è il merito ad esserlo. Non c’è nessun premio politico.
Prima di Acea, ma in qualche misura anche dopo, quale era l’inquadramento di Lanzalone all’interno del Comune. Si parla di un “contratto fantasma”, di una collaborazione a titolo gratuito che non sarebbe mai stata formalizzata e di consulenze pagate al suo studio legale.
Questo va chiesto al Comune. Io so solo che era presidente di Acea, facendo toccare all’azienda il record storico delle sue azioni. Sul resto va chiesto al Campidoglio. Io a inizio dell’anno scorso mi sono un po’ allontanato nel seguire le vicende di Roma.
Ha fatto molto discutere anche la cena con Davide Casaleggio, che ha risposto di essere stato “nello stesso posto ma non allo stesso tavolo”. Non le è sembrata una risposta un po’ pelosa, furba?
Mi scusi, ma da quando è reato trovarsi a cena con una persona? Su questa cena si sono fatti retroscena francamente assurdi. Davide Casaleggio sapeva che Lanzalone era un professionista competente, ma non ha mai avuto a che fare con lui. Diverso sarebbe se si fosse trattato di una cena di finanziamento elettorale, come è successo con Salvatore Buzzi nell’inchiesta di Mafia Capotale, che finanziava le campagne elettorali di Matteo Renzi.
Rimane un po’ di furbizia.
Ma no, Davide ha voluto semplicemente mettere in chiaro che non si trattava di un summit di potere, ma di un contesto più ampio di un evento programmato da tempo nel quale, tra l’altro, non sedevano allo stesso tavolo.
Al di là della questione giudiziaria, come definirebbe questo caso? Si può circoscrivere semplicemente alla responsabilità dei singoli, alle solite mele marce?
Io ho utilizzato la frase: come rovinarsi la vita pur avendo una posizione di tutto prestigio. Abbiamo visto da parte di alcuni dinamiche nella gestione della cosa pubblica che non ci deve appartenere. Il Movimento deve dimostrare ancora una volta di avere la forza e la capacità di allontanare tutti quelli che si comportano in questo modo.
Le conversazioni di Buzzi e quelle di Lanzalone-Parnasi hanno un minimo comun denominatore nel tenore che usano. Per lei è una questione tipicamente romana, come affermano in molti?
Nel caso di Roma ci sono opere che muovono una gran quantità di soldi, e che amplificano il risalto che si dà alle inchieste. Ma devo dire che il problema della corruzione è diffuso su tutto il territorio, con dinamiche simili. Dobbiamo fare subito il daspo per i corrotti e il carcere per chi si rende protagonista di questi atteggiamenti, oltre all’agente provocatore.
Lei però è il capo politico del Movimento 5 stelle. Non può sottrarsi alle responsabilità che il suo ruolo prevedono.
La mattina in cui sono uscite le notizie dell’inchiesta sullo stadio della Roma ho chiamato i probiviri e li ho allertati di monitorare qualsiasi coinvolgimento interno. E ho chiesto le dimissioni di Lanzalone, prendendomi le responsabilità di chiedere un passo indietro al vertice di una società quotata, ma era necessario farlo. Per noi nei casi di corruzione non esiste presunzione di innocenza. Noi non siamo garantisti per quanto riguarda le cariche politiche. Se uno si dimette a affronta l’inchiesta da libero cittadino è un discorso diverso, e da quel punto di vista siamo assolutamente garantisti.
La questione che lei apre sulla responsabilità politica tuttavia investe in pieno Virginia Raggi, che non sempre dimostra di avere il controllo, politico e amministrativo, sulla complessa macchina che si trova a guidare.
Il discorso lo capisco. Ma Lanzalone non aveva processi a carico, o inchieste pendenti. Allora sarebbe stato evidente il controsenso ostinarsi a difenderlo. Ma in questo caso un professionista affermato che arriva da Milano come fai a metterlo all’indice?
Chi è che vi ha indicato il suo nome?
La genesi è semplice. A Livorno nel 2015 c’è stata una breve crisi dei rifiuti che lo studio Lanzalone ha risolto. Del resto Filippo Nogarin ha sempre sostenuto di averlo scoperto lui. All’epoca io, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro eravamo nel team dei Comuni, quello che si occupava di Enti locali, e lo abbiamo conosciuto sul campo.
Ma a Nogarin chi l’ha presentato?
Evidentemente il sindaco di Livorno aveva un suo giro di conoscenze che glie lo suggerì. Anche Bonafede conosceva bene il giro degli avvocati, e ce lo indicò più volte come una persona capace, con il suo studio, di gestire bene questo tipo di cose.
La Raggi dice che la decisione di affidare la vicenda stadio a Lanzalone la si deve a Bonafede e Fraccaro.
Non è che le hanno mandato un amico loro? Le hanno semplicemente suggerito uno che sul campo si era dimostrato in grado di maneggiare situazioni amministrative complicate.
Quello della sindaca sembra uno scaricarsi da qualunque tipo di responsabilità.
È una questione di verità. Perché avrebbe dovuto dire di averlo scoperto lei? Era semplicemente all’epoca il profilo più idoneo a gestir un certo tipo di dossier tra quelli che avevamo incontrato.
Però negli anni a Roma abbiamo visto molti casi controversi: quello di Marra, sul quale la Raggi andrà a processo a partire dal prossimo 21 giugno, e quelli che hanno riguardato la Muraro, Colomban, Berdini. Tutte situazioni nelle quali o è chiamata in causa come responsabile, oppure quantomeno si dimostra non perfettamente capace di gestire la situazione. Ignazio Marino è stato cacciato per molto meno. Qual è il giudizio politico che dà della situazione?
Veramente la vicenda dei rendiconti di Marino fu solo la ciliegina sulla torta dopo l’esplosione di Mafia capitale, che coinvolse membri della giunta e consiglieri.
Infatti fu lo stesso Pd a farlo cadere.
Su Marra Virginia ha chiesto scusa, prima di tutto al Movimento. In quel caso fummo noi a chiedere alla sindaca di fare a meno di quella risorsa nel suo staff. Lo stesso Berdini non era contrario al progetto dello stadio. Se siamo colpevoli di aver cambiato alcuni componenti della giunta, allora lo sono tutti. Il problema della classe dirigente non è un problema solo nostro.
Maurizio Martina ha chiesto le dimissioni della sindaca. La difenderete fino in fondo?
Fatemi capire: l’ex assessore di Nicola Zingaretti viene arrestato e chiedono le dimissioni della Raggi quando la stessa procura ha detto che non c’entra nulla? Ma di cosa stiamo parlando?
Ma se venisse condannata nel processo per falso sul caso Marra che inizierà fra pochi giorni?
C’è il codice di comportamento. Lo conosciamo bene.
La questione romana solleva un punto: quello per il quale voi venite dal basso, siete cittadini comuni, e vi affidate a professionisti per la gestione dei dossier amministrativi. Un po’ quello che dovrete fare a livello nazionale. Non pensa che sia un modello altamente infiltrabile?
Tutto lo stato italiano è costruito in questo modo. C’è un vertice politico che dà le line d’indirizzo, e poi i tecnici dei gabinetti, i funzionari e i consulenti professionalmente preparati ad applicarle. È ovvio che dobbiamo scegliere tra persone sulle quali non ci siano dubbi né ombre. E che la politica deve essere forte per non cadere nelle mani dei tecnici, ai quali, lo ripeto, noi non affidiamo la gestione della cosa pubblica.
Cambiando argomento. Negli ultimi giorni sembra sempre più che Matteo Salvini sia il premier di fatto, o che per lo meno stia dando un’impronta fortissima a questo governo.
Partiamo dal presupposto che questo è un complesso che non ho. Come non lo hanno i nostri ministri o i nostri parlamentari. Semplicemente uno dei primi temi che stiamo affrontando è quello dell’immigrazione. Fui io stesso a sollevare un anno fa la questione delle Ong. Semplicemente siamo andando avanti compatti su questo tema. Per quel che riguarda il mio ministero, per esempio, ho sollevato la questione dei diritti e delle tutele dei riders, ho avuto sostegno da parte della Lega e anche su quello procederemo insieme. Ricordo sempre che c’è solo un unico presidente del Consiglio, che si chiama Giuseppe Conte. Poi ognuno di noi fa il proprio lavoro, e lo stanno facendo tutti bene.
Salvini sul blocco dell’Aquarius vi ha avvertito? È stata una soluzione concordata?
È stata una decisione partecipata a livello di governo. Non si sarebbe potuta prendere senza Palazzo Chigi e senza il ministero delle Infrastrutture.
Ma quanto a lungo potrete bloccare i porti?
Credo che dopo quello che è successo nulla sarà più come prima. Francia e Spagna sono una nuova porta sul Mediterraneo, e su questo ci aspettiamo coerenza. Allo stesso tempo noi salviamo vite con le navi della nostra Marina e della nostra Guardia Costiera. Ma non siamo più disponibili a rendere i nostri porti riferimento per Ong che non battono bandiera italiana. Occorre trovare una soluzione a livello europeo, non siamo più disponibili ad attendere.
Cosa si aspetta dal bilaterale fra Conte e la Merkel?
Devo dire che sia sul regolamento di Dublino, sia in generale sul dibattito che si è sollevato in questi giorni, la posizione della cancelliera è stata molto più in favore dell’Italia. Dalla Germania in effetti stanno arrivando assist nei nostri confronti. Ora però vogliamo vedere i fatti.
Sicuramente più di Macron.
Non mi faccia fare polemiche con Macron, che abbiamo appena ricucito.
Quindi forse la Germania non è così un mostro come quello teorizzato da chi sull’euro avanza il piano B.
La riflessione è più ampia. Anche in Germania c’è un problema di gestione del fenomeno migratorio. Un problema che è arrivato nel cuore d’Europa, anche nel paese che più si è giovato degli effetti dell’unione economica e monetaria. Io ho sempre detto che la Merkel ha pensato agli interessi dei tedeschi. Il problema è che i nostri politici non hanno pensato a quelli degli italiani. Con qualche sano no ai tavoli europei otterremmo tanti sì per i cittadini italiani.
Le sta simpatica?
Non glie lo so dire, non la conosco. Spero di avere a che fare con lei e con il suo ministro del Lavoro perché il modello tedesco dei centri per l’impiego è tra i migliori che ci sia in Europa, e lo vorrei portare qui in Italia.
Ultima questione. Salvini sta andando in Libia. Si dice che uno degli elementi della nostra politica nel paese sia il pagamento delle milizie locali.
Di questo non sono a conoscenza, e non mi risulta.
Però le voci si rincorrono. Non pensate che sia il caso di approfondire? Magari di aprire un’inchiesta?
Se riscontreremo violazioni dei diritti umani è ovvio che in qualche modo procederemo. Nel contratto di governo vengono definiti due obiettivi: disincentivare le partenze, e la tutela dei diritti umani. Siamo tutti d’accordo che questi siano i due obiettivi da raggiungere.
L’HUFFPOST