Un problema di classe dirigente
Sin dalla formazione e fino ai primi passi questo governo è stato passato ai raggi X. Nulla di male. Anzi per la prima volta dopo tanto tempo sembra essere rinato un interesse, anche polemico e vivace, sulla politica governativa.
Un argomento molto dibattuto è quello della classe dirigente. I Cinque stelle, ad esempio, che il 4 marzo hanno celebrato il loro primato elettorale – ma privi di una maggioranza assoluta e inizialmente indisponibili a qualsiasi coalizione – hanno poi dovuto fare i conti con il sistema che c’è. L’errore che hanno cercato di non ripetere potremmo sintetizzarlo in “Roma docet: senza élite non si governa“.
La storia della sindaca Raggi, la sua giunta e le sue nomine ne sono la dolente testimonianza. Al Consiglio di Stato ricordano con un sorriso quando la sindaca bussò alla porta del Presidente Pajno, per chiedergli un giudice in prestito per ricoprire il ruolo di Capo di Gabinetto. Le difficoltà incontrate dal Movimento, a Roma, nell’individuare ad esempio le persone giuste a gestire le municipalizzate ha avuto una brutta ricaduta proprio in questi giorni. Un problema di “classe dirigente” ben sintetizzato dal Corriere della Sera.
Il Movimento si è impegnato moltissimo nel costruire la squadra ministeriale. E non intendo ministri, viceministri e sottosegretari, ma l’alta burocrazia dei gabinetti. Bisogna ammettere che i pentastellati hanno dimostrato maturità istituzionale, nell’aver compreso che il Ministro non va da nessuna parte, se non viene affiancato da persone di esperienza. Una cosa è l’arma dialettica, buona per strappare l’applauso in qualche talk show, altra cosa però è tradurre in fatti un programma elettorale studiato per allargare al massimo l’area del consenso. Quali sono i provvedimenti da adottare nei primi 100 giorni di governo, provvedimenti capaci di produrre effetti concreti fin da subito e allo stesso tempo segnalare con chiarezza all’esterno quale sarà la linea dell’esecutivo gialloverde?
Senza una squadra ministeriale rodata è impossibile portare a casa qualche risultato e quindi… metodo giacobino addio. La Lega questo lo sapeva già, e non ci stupisce che si sia ben attrezzata sin da subito.
Gli apparati centrali dello stato, i ministeri, sono simbolicamente il tradizionale emblema del potere pubblico dagli albori della nostra storia unitaria e rappresentano ancora oggi la struttura principale del nostro sistema amministrativo.
Una corretta dialettica tra politici e dirigenti ministeriali – che riesca, nel rispetto delle competenze, a migliorare l’azione pubblica – è fondamento del “buon governo”. Aspramente critico sul ruolo della burocrazia, ministeriale e non, è sempre stato Angelo Panebianco, che nel suo editoriale “La politica senza potere” – pubblicato lo scorso febbraio sul Corriere della Sera si domanda “Perché nessuno fra gli impegnati nella campagna elettorale parla del fatto che la politica rappresentativa pesa oggi molto meno, esercita molto meno potere, delle burocrazie amministrative e giudiziarie?” -.
Chi comanda al ministero, o chi comanderà davvero è la sottile insinuazione che pervade oggi molte delle posizioni antigovernative. Ma cosa significa servire lo Stato? Significa far funzionare la macchina amministrativa, e garantire la correttezza delle procedure e l’interesse del cittadino. Troppo spesso, però, la figura dei “commis de l’État”, cioè dell’alta burocrazia, viene associata ad altro. I termini per definirla non sono lusinghieri. Ne citiamo uno per tutti: Mandarini di stato.
Eppure, anche se l’élite si compone di due categorie di persone, quelle sensibili al cambiamento e quelle orientate alla conservazione, la classe dirigente di un paese rimane la sua linfa vitale. Alla politica che governa si deve affiancare l’élite amministrativa, che presta la sua competenza tecnica secondo una chiara e riconoscibile distinzione dei ruoli e delle responsabilità. Bassanini docet. Ciò malgrado, il burocrate viene considerato il freno a mano dell’efficienza e dello sviluppo. È veramente così? Qual è il rapporto tra l’alta dirigenza ministeriale e la politica? Chi ha in mano, nei ministeri, il potere e la responsabilità delle decisioni? Negli ultimi governi il potere discrezionale di articolare il contenuto di buona parte dell’attività legislativa, e non più soltanto di decidere su casi individuali, è passato dal Parlamento all’Esecutivo. La competenza nel valutare gli effetti delle linee politiche, unita alla capacità di prospettare le alternative pratiche, assicura all’alta burocrazia un ruolo preponderante sulle fasi del processo decisionale?
A tutte queste domande ha cercato di dare una risposta “Una Questione di Stato. Politica e Alta Burocrazia“, che si è tenuto all’Istituto Treccani. Una cosa è certa: oggi più di ieri si percepisce una grande diffidenza verso l’alta burocrazia. Una percezione “negativa”che il dibattito alla Treccani ha contribuito a sfatare. Prometto di seguire passo dopo passo, da buona lobbista, come si muoverà il governo gialloverde e tra sei mesi, non prima, tornerò su questo argomento.
L’HUFFPOST