Ecco la formula segreta dello strapotere di Salvini
Giovedì pomeriggio, nei saloni di Palazzo Madama dove aleggiano dubbi e timori a 5stelle, il più ortodosso dei grillini, Nicola Morra, scruta la nuova stagione politica insieme al più intransigente dei paladini dei consumatori, Elio Lannutti.
Anche lui senatore pentastellato. «Stiamo nei guai!», esclama Morra: «Vedremo se Salvini staccherà la spina dopo le elezioni europee. Per ora ci ruba consensi o ce li fa perdere. Se è difficile competere con lui a destra, dovremmo almeno presidiare l’elettorato di sinistra, che ci lascia perché è insofferente verso l’alleanza con la Lega. Ma Di Maio non c’è si affida solo a Casalino lasciamo perdere. E noi paghiamo le contraddizioni del governo. L’altro giorno c’è stato il siparietto tra Alberto Bagnai, l’economista di Salvini, e il ministro Giovanni Tria. Il primo una ricetta spumeggiante, tutta bollicine. Il secondo la solita acqua putrida. La Lega osa. Di Maio, invece, per fare risultati nei suoi ministeri dovrà aspettare. E fino ad allora che fa? Sta in Africa? Mentre in Italia si vota!». Lannutti non è meno pessimista ma immagina un altro epilogo. «Tria come Monti», si lamenta. «L’unica nostra speranza aggiunge – è che l’opinione pubblica vada in over dose di Salvini. Lui, però, non andrà al voto, punterà a fare un governo con il centrodestra». Fuori campo lo storico Aldo Giannuli, grillino deluso, è ancora più tranchant sull’ultima ipotesi, quella che Salvini si innamori della maggioranza gialloverde per sempre: «Ci crede solo Di Maio!».
È diventata una fissazione, tutti tentano di capire cosa abbia in mente Salvini, quali saranno le sue mosse. Una fobia che i partner di governo cioè i grillini, condividono anche con l’opposizione e la mezza opposizione. «Ormai è una consuetudine racconta l’azzurro Enrico Costa i salviniani su ogni cosa ci dicono: accontentatevi, non esagerate, perché i grillini vogliono fare anche di peggio Ci prendono per il naso». Mentre il capo dei senatori della Meloni, Stefano Bertacco, sussurra: «Di Maio non esiste: a maggio, lo do per sicuro, Salvini va a Palazzo Chigi con una maggioranza di centrodestra più i refrattari alle elezioni».
Ora il problema non sono tanto i propositi futuri del leader della Lega, o le sue promesse da marinaio, ciò che colpisce è come tutti pendano dalle sue labbra, come Salvini sia diventato il «dominus» dell’attuale fase politica. Ci sarà pure che lui si è proposto come «maschio alfa» del governo, che Di Maio è ancora un vicepremier in cerca d’autore, ma se vogliamo restare al lessico tradizionale della politica, senza ricorrere all’antropologia o alla psicologia, basterebbe dire che Salvini ha conquistato la «centralità», quella condizione particolare che piaceva tanto ai democristiani, a Berlusconi o a Prodi. Il che può apparire a prima vista paradossale, per non dire assurdo: il più populista di tutti, il più estremista di tutti, che diventa centrale? Sembra una contraddizione in termini. Ma in realtà è la conseguenza di quanto è cambiata la società italiana (e con lei la geografia della politica). Di fatto il portato di un’intuizione che aveva avuto in passato il Cav: «Qui i più arrabbiati sono i moderati!». E che Salvini ha coltivato.
Il resto lo ha fatto una certa capacità manovriera per non dire spregiudicatezza – del personaggio, l’insipienza del vertice grillino, l’immobilismo della supposta opposizione di Forza Italia e gli errori del Pd. In fondo la settimana tipo del leader leghista è più o meno questa: nel tradizionale lunedì di Arcore, ventila per il futuro al Cav un possibile cambio di maggioranza che riporti il centrodestra al governo; il martedì a Palazzo Chigi fa immaginare a Conte e Di Maio un lungo sodalizio; il mercoledì torna a promettere alla Meloni la presidenza del Copasir, o qualcosa giù di lì; il giovedì lancia la prima proposta che gli viene mente, che fa infuriare Saviano, Santoro e Vauro, ma manda in visibilio due terzi degli italiani. Risultato: è centrale non solo negli equilibri politici, ma anche nell’immaginario collettivo. Ad esempio, i «rom» che inveiscono contro lo sgombro del loro «campo», non se la prendono con il governo ma direttamente con Salvini, mentre gli abitanti del quartiere lo applaudono.
Com’è potuto accadere? Una legge elettorale che di fatto ha consegnato la «golden share» del centrodestra alla Lega: proposta da Salvini a Renzi, e accettata dal Cav. Ed ancora, l’ok, sia pure strappato a denti stretti, di Berlusconi al governo giallo-verde per evitare le elezioni. Ed infine, l’incredibile fragilità e la disarmante incompetenza grillina. Ieri, ad esempio, per evitare critiche nell’assemblea dei deputati 5stelle Di Maio ha invitato i suoi ad evitare discussioni politiche, ma «a lavorare»: parafrasando, così, involontariamente, un cartello che nel ventennio capeggiava in tutti gli uffici pubblici. Solo che gli uffici pubblici non sono organismi politici. Per non parlare dell’incapacità dimostrata dai 5stelle in tutte le trattative. Ad esempio, nel duello con la Lega sui vertici Cassa Depositi e Prestiti, hanno accettato il candidato delle Fondazioni per la presidenza, Massimo Tononi; poi hanno lanciato Fabrizio Palermo; fallita l’operazione hanno contrapposto a Massimo Sarmi, il candidato di Salvini al ruolo di amministratore, il nome di Dario Scannapieco, ultimo dei Ciampi boys. Regista dell’operazione per i grillini, Stefano Buffagni, che, non sapendo che pesci prendere, ha eseguito tutti i desideri di Giuseppe Guzzetti, padre e padrone delle fondazioni bancarie. Cioè, il numero uno del sistema finanziario del Paese. In sintesi: se Salvini ha convertito pezzi di establishment (vedi Sarmi), i grillini sono stati convertiti dall’establishment.
Insomma, tra il leghista e i grillini non c’è partita. Mentre la tentazione delle altre opposizioni è quella di non entrare in partita, di temporeggiare: un atteggiamento che lascia fin troppo campo libero al leghista. Eppure di cose ce ne sarebbero da dire, se in sette riunioni del consiglio dei ministri il governo, oltre alle direttive Ue (il colmo per un esecutivo sovranista), ha approvato solo un decreto che allunga dei termini dei processi al tribunale di Bari, finito, per la sede pericolante, in una tendopoli. Ma il Cav predica ai suoi cautela, un giorno sì e un altro pure. Tanta prudenza. Fin troppa. L’altro giorno, nella «chat» dei senatori di Forza Italia, all’ennesimo messaggio di Francesco Giro, che riportava le ultime gesta del leader leghista, l’ex sindaco di Pietrasanta, Massimo Mallegni, è sbottato: «Francesco non ne posso più di leggere questi incensamenti di Salvini! Io sono di Forza Italia, sto all’opposizione e amo Berlusconi». E anche sul versante Pd, si prende tempo. «L’errore ha spiegato Renzi ai suoi lo ha fatto Berlusconi. Io per ora sto a casa, posso aspettare: ho 43 anni. Presto quei due andranno a sbattere. E Salvini si sfracellerà prima di Di Maio». Previsione azzeccata, o speranza malriposta? Lo dirà la storia. Ma i leghisti dell’era Salvini non si fanno tanti problemi, né con gli oppositori, né con gli alleati di oggi ma forse nemici di domani. «Se le cose andranno bene è la teoria che il sottosegretario all’interno, Candiani, espone da settimane – noi ci prenderemo il merito. Se andranno male, diremo che i grillini non sono stati all’altezza».
IL GIORNALE
This entry was posted on sabato, Giugno 23rd, 2018 at 07:36 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.