Governo-Confindustria, scontro sul dl dignità. Divieto di spot sulle scommesse, l’ira dei gestori
Il decreto dignità si basa su «tre concetti: diamo un colpo mortale al precariato, licenziando il Jobs Act; diamo un colpo mortale alla parte più insidiosa della burocrazia, per cui ci diranno che vogliamo favorire gli evasori quando vogliamo favorire i cittadini onesti; siamo il primo Paese in Ue che dice stop al gioco d’azzardo e diciamo no alle multinazionali che vengono qui, prendono soldi e delocalizzano». Lo afferma il vice premier Luigi Di Maio in conferenza stampa a Palazzo Chigi illustrando i punti del decreto.
«Il decreto tutela i lavoratori onesti, senza danneggiare le imprese oneste: chi non abusa non ha nulla da temere. Saremo dalla parte degli imprenditori per far calare il costo del lavoro», dice Di Maio. «Non siamo contro le imprese, serve una sana alleanza», fa eco il premier Conte che annuncia «misure per la crescita».
La reazione di Confindustria
Dura la replica di Confindustria per le norme sul lavoro precario: «Il decreto-legge “dignità” approvato ieri è il primo vero atto collegiale del nuovo esecutivo e, anche per questo, è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese». Questo il primo commento di Confindustria sulle decisioni assunte ieri dal consiglio dei Ministri. «Come abbiamo sempre sostenuto – prosegue Confindustria – sono infatti le imprese che creano il lavoro. Le regole possono favorire o scoraggiare i processi di sviluppo e hanno la funzione di accompagnare i cambiamenti in atto, anche nel mercato del lavoro. Si dovrebbe perciò intervenire sulle regole quando è necessario per tener conto di questi cambiamenti e, soprattutto, degli effetti prodotti da quelle precedenti. Il contrario di ciò che è avvenuto col decreto “dignità”. Mentre infatti i dati Istat raccontano un mercato del lavoro in crescita, il Governo innesta la retromarcia rispetto ad alcune innovazioni che hanno contribuito a quella crescita».
Polemica anche sul divieto di spot per le scommesse
Altro ambito di polemica nasce dal capitolo che prevede il divieto di «qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni ed internet».
«A rischio migliaia di posti di lavoro», dicono i gestori dei giochi, e la Lega calcio di Serie A segnala danni alle società e allo Stato: 700 milioni di minor gettito in 3 anni.
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