Come si riportano a casa 46 milioni cash dai conti svizzeri
di Milena Gabanelli e Andrea Pasqualetto
L’accusa di riciclaggio internazionale
Dalla Svizzera il contante veniva consegnato ai titolari dei conti, previo pagamento all’organizzazione di una commissione, che variava dal 5 al 10 per cento, a seconda del grado di rischio dell’operazione.
Il rischio c’era, visto che Vazzoler e i suoi 5 complici sono stati arrestati il 17 maggio scorso dal gip di Padova con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio internazionale. Il pm Roberto D’Angelo li accusa infatti di aver ripulito denaro proveniente da altri reati, soprattutto tributari. Al momento gli indagati per evasione o frode fiscale sono 14 imprenditori: fanno parte dei circa 200 clienti (fra loro anche il figlio di un ex ministro del governo Berlusconi) che l’organizzazione aveva agganciato utilizzando 13 società create in vari Paesi.
Come funziona l’organizzazione del riciclo
I ruoli erano ben definiti: Vazzoler «regista» fra Padova e Jesolo, l’ex fidanzata Elena Manganelli Di Rienzo, figlia di un primario ginecologo, operativa a Dubai. La sponda legale era l’avvocato croato Dubravko Zeljko, quella svizzera Albert Damiano, un fiduciario di Lugano che con il bergamasco Marco Remo Suardi costituiva il punto di riferimento della clientela nel paese elvetico. «Il flusso di denaro da Dubai alla Svizzera, dal 1 dicembre 2015 al 31 dicembre 2016, è di oltre 46 milioni di euro», scrive il pm nella sua richiesta di misura cautelare in carcere. «È la conseguenza del blocco dei conti minacciato dalle banche svizzere se non si faceva la voluntary», precisa l’avvocato Luigi Fadalti, difensore di Damiano.
Troppo caro pagare le tasse, anche con lo sconto
La Voluntary disclosure è il provvedimento pensato dall’Italia per far emergere le attività finanziarie detenute all’estero mai dichiarate al fisco, azzerando conseguenze penali e offrendo sconti sulle sanzioni. Ha avuto due edizioni: la prima si è chiusa nel novembre 2015: sono emersi dall’anonimato 59,5 miliardi di euro, dei quali 41,4 detenuti in Svizzera (69,6%). Un flop invece la seconda edizione, scaduta lo scorso 2 ottobre e accompagnata da una sempre maggiore trasparenza bancaria della Svizzera, pena la lista nera dell’Ocse. Secondo la Corte dei Conti dalla Voluntary bis sono emersi 4,9 miliardi di euro (presumibilmente 3,4 detenuti in Svizzera). Una ricerca della Banca d’Italia sull’anno 2013 (prima delle voluntary) stima da 199 a 248 miliardi il sommerso oltre confine, il che porta a calcolare un valore approssimativo dei depositi svizzeri pre-voluntary da 137 a 171 miliardi di euro. All’appello del «dichiarato» mancherebbero quindi dai 92 ai 126 miliardi. Domanda: dove sono finiti?
Dove sono finiti i soldi nascosti in Svizzera?
«Una cosa è certa: nelle banche svizzere non è rimasto quasi nulla di non dichiarato», ipotizza l’avvocato Paolo Bernasconi, ex procuratore pubblico in Ticino. «Questo dato è pacifico, i capitali oggi sono altrove», conferma il suo collega Enrico Ambrosetti, difensore della Manganelli e docente di diritto penale a Padova. Secondo Bernasconi per trovare il denaro italiano in fuga dalla Svizzera bisogna seguire le tracce dei fiduciari che si sono spostati sui Paesi balcanici, su Dubai, su Cipro e Malta. «Questi ultimi due Paesi, che fanno parte dell’Unione europea, vendono cittadinanze a facoltosi italiani con il risultato dell’immunità fiscale, perché così i dati svizzeri vengono comunicati a Cipro o Malta e non all’Italia». È il caso di ricordare che ci sono anche Paesi della white list, come il Delaware (Stati Uniti), dove le autorità lasciano fare, ma «una buona parte è finita in luoghi ben più lontani, attraverso la finanza sofisticata dei trust che gravita su Londra», dice l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Orlandi.
Il vecchio metodo degli spalloni e le valigette è sempre in uso
L’indagine di Padova riporta le cose su un piano più tradizionale e rodato, dando un’idea di cosa sia successo in questi anni ai depositi italiani illegali. Capolinea delle operazioni era lo studio di Lugano di Damiano, che metteva il contante a disposizione del cliente, il quale poteva prelevarlo personalmente o farselo portare in Italia pagando uno spallone. E una volta a casa lo nascondi da qualche parte: nella cassaforte, in soffitta, sotto la mattonella. Ma poi come li spendi i milioni non dichiarati? «Si comprano quadri, gioielli, immobili…», spiega l’avvocato Fadalti. «Alcuni imprenditori ci pagano una parte degli stipendi in nero», aggiunge un inquirente. Val la pena ricordare che il primo gennaio 2016 (nel pieno delle operazioni di rientro capitali) l’ex premier Matteo Renzi aveva alzato il tetto all’utilizzo dei contanti da 1.000 a 3.000 euro. Oggi il tema «tracciabilità» non sembra preoccupare il nuovo governo, che al contrario si spinge più in là, visto che finora l’unica dichiarazione è stata quella del ministro dell’Interno Matteo Salvini: «Per me nessun limite all’utilizzo del cash».
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