Le case degli italiani: sono 75 milioni, crescono le abitazioni “medie” e scendono quelle di “lusso”
di ANTONELLA DONATI
Più villini e meno ville. Più abitazioni di media categoria e meno case di lusso. Cambia così lo stock immobiliare nel 2017, comunque in crescita crescita rispetto all’anno precedente. Gli immobili censiti, infatti, aumentano di oltre mezzo milione, arrivando a quasi 75 milioni di unità, per l’88% di proprietà privata. A fotografare l’andamento del mattone la pubblicazione annuale curata dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate.
Case su, uffici giù. In dettaglio nello scorso anno lo stock immobiliare italiano è aumentato dello 0,8%, con circa 548.000 unità in più del 2016, raggiungendo un totale di 74.985 milioni. La crescita ha rigurdato tutto il territorio. Poco meno della metà del totale, ossia 35 milioni di immobili, sono a destinazione abitativa con una crescita di circa 114.000 unità rispetto a quelle rilevate l’anno prima. Si tratta in gran parte di nuove costruzioni, a dimostrazione che nononostate le difficoltà nelle vendite il settore non si ferma. Nel dettaglio delle singole categorie, sono aumentate le abitazioni nelle categorie A/2, A/3 (abitazioni civili e di tipo economico), A/7 (villini) e A/11 (abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi, +2,2%). Sono diminuite invece le abitazioni signorili (A/1), le abitazioni popolari (A/4), le ville (A/8), i castelli e i palazzi di pregio (A/9) e, con tassi superiori al 2%, le abitazioni di tipo ultrapopolare e rurale (A/5 e A/6). Un andamento delle nuove costruzioni, quindi, sempre più orientato verso una fascia media. Crescono anche le unità censite come pertinenze e negozi, mentre diminuisce il numero di uffici (- 0,2%).
Più immobili industriali. A far segnare invece un aumento dell’1,6% è il numero degli immobili destinati ad uso produttivo che ora raggiungono quasi quota 1,6 milioni. Si tratta di immobili censiti nelle categorie D/1 (opifici, 495mila circa), D/10 (edifici a uso agricolo, 420mila circa), D/7 (edifici a uso industriale, 293mila circa) e D/8 (edifici a uso commerciale). Le unità del gruppo D rappresentano una rilevante quota di rendita del patrimonio immobiliare italiano, il 28% circa, a fronte di una quota di solo il 2,4% in termini di numero di unità.
Crescono anche le rendite catastali. Quando alle rendite catastali dopo il calo dell’1,1% dello scorso anno, il totale torna a crescere dello 0,4%. L’aumento interessa tutti i gruppi ad eccezione delle unità immobiliari adibite ad uffici (A/10), in calo dello 0,6%. La rendita catastale è salita dunque a 37,3 miliardi di euro, per la maggior parte (61%) relativa ad immobili di singoli proprietari. Proprio per loro però pagare o meno l’Imu sulla prima casa può fare la differenza. E così, ancora una volta, dalle statistiche del catasto dell’Agenzia delle Entrate, emerge come il patrimonio immobiliare italiano sia in movimento, sempre più spostato verso le categorie di abitazioni o in generale immobili su cui l’imposta sulla prima casa non si paga, a scapito di quelle, tendenzialmente di lusso, su cui invece tocca pagare le tasse. Secondo le ultime statistiche catastali, dopo l’aumento già registrato nel 2016, lo scorso anno sono non a caso cresciuti del 3,2% gli immobili “non idonei a produrre reddito” e quindi non soggetti ad alcuna tassa. Confedilizia evidenzia come dal 2011, cioè nel periodo pre Imu, ad oggi il numero degli immobili abbandonati al degrado sia quasi raddoppiato, passando da 278 mila a 520 mila unità, con un balzo dell’87%. “Si tratta di immobili per i quali i proprietari non sono in grado di far fronte alle spese di mantenimento e alla abnorme tassazione patrimoniale Imu-Tasi – denuncia il presidente dell’associazione Giorgio Spaziani Testa – e che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo o, addirittura, a causa di atti concreti dei proprietari, che mirano così a liberarsi almeno degli oneri che comportano”.
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