Dl Dignità, nessuna “manina” La firma sul flop è di Di Maio
Inizia tra aspre polemiche sul «complotto» denunciato da Luigi Di Maio l’iter del decreto dignità nelle commissioni Finanze e Lavoro della Camera.
Per gli emendamenti c’è tempo fino a giovedì, venerdì inizia il voto. Le opposizioni, Fi in testa, sono sulle barricate e Fdi e Leu chiedono di far slittare l’arrivo in aula del decreto dal 24 al 30 luglio. Ma la maggioranza vuole il tour de force e si prevedono sedute sabato e domenica, magari notturne per le audizioni che partiranno oggi. Dovrebbe cominciare il presidente dell’Inps Tito Boeri e seguire il ministro grillino del Lavoro. Mentre in Senato è prevista l’audizione del ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
Sono i tre protagonisti dello scontro tra governo e Inps sulla previsione di 8mila posti di lavoro in meno all’anno per le nuove norme sui contratti a tempo determinato. Di Maio respinge le accuse: «Non ci sto a far passare questo come un decreto per licenziare le persone, io voglio solo ridurre il precariato per i nostri giovani». E annuncia incentivi per i contratti a tempo indeterminato e a fine anno sul costo del lavoro. Riconosce, bontà sua, al Parlamento «il diritto» di modificare il decreto, ma da capo del M5s annuncia che «non si arretrerà» sulla lotta alla precarietà. In serata, si confronta da Enrico Mentana su La7 con il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, che ha criticato pesantemente il dl.
Proprio condividendo i timori della classe imprenditoriale, Silvio Berlusconi ha lanciato la campagna di Forza Italia contro il provvedimento, contando che in quest’occasione «si ricostituirà il centrodestra». La Lega, però, non sembra voler prendere le distanze dagli alleati del M5s, per schierarsi con il resto della coalizione. E allora gli azzurri fanno per due, chiedendo anche la reintroduzione dei voucher. Chiedono che in Aula il governo renda conto al Parlamento di «uno scontro istituzionale senza precedenti», come dice Laura Ravetto.
Per la vicepresidente della Camera Mara Carfagna la «manina» complottista non esiste, più che di Boeri semmai è dello stesso Di Maio, visto che nel testo del disegno di legge di conversione del decreto, cofirmato dal vicepremier, all’articolo sulle coperture ci sono «le stesse indicazioni della famigerata relazione tecnica: si dice che le modifiche ai contratti a tempo determinato e quelle ai contratti di somministrazione comportano minori entrate per lo Stato, cioè ci saranno meno posti di lavoro». Di Maio, attacca il capogruppo di Fi in Commissione Bilancio Andrea Mandelli, «neanche legge i documenti ufficiali a supporto delle sue sciagurate iniziative legislative». E, aggiunge il capogruppo in Commissione Lavoro Paolo Zangrillo, «ciò che sconcerta di più è che, di fronte all’evidenza dei numeri, il ministro reagisca minacciando organi dello Stato, promettendo repulisti».
Perché i numeri sono chiari, insiste Giancarlo Serafini, «si perdono 80mila posti di lavoro in 10 anni e si avranno minori entrate per 153 milioni di euro». Peraltro, spiega il direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici Carlo Cottarelli, «sono numeri abbastanza modesti e, come ha detto Boeri, può anche essere un prezzo iniziale da pagare per riformare il sistema».
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