Filippo Facci contro i francesi: “Perché non sono simpatici a nessuno”

di Filippo Facci

Nel 2006, ai Mondiali, quando nella finale gli italiani batterono i mangialumache, un gruppo di guide di Courmayeur si fece una maglietta con scritto «Materazzi» per sberleffare le guide di Chamonix. Parliamo di una zona dove i francesi sono ancora convinti (unici al mondo) che la vetta del Monte Bianco sia territorio francese e non su una linea di confine. Una zona dove, nel giorno dell’inaugurazione della Sky Way italiana (la funivia del Bianco di cui ha parlato tutto il mondo) né il sindaco di Chamonix né il prefetto della Savoia né uno straccio di guida francese intervennero all’inaugurazione. Per puro sprezzo.

Comunque il calcio in realtà c’entra poco. I francesi in tal senso sono visti come dei parvenu (oh, una parola francese) anche perché ce le hanno date in momenti cruciali, come nella finale del campionato d’Europa del 2000 giocata allo stadio di Rotterdam. Poi, vabbeh, c’è la finale del 2006 a Berlino, vittoria più bella proprio perché non troppo meritata. Pochi sanno, però, che tutto ebbe inizio nel 1910: la Francia fu la prima avversaria dell’Italia in un’amichevole a Milano: 6-2 a favore dei futuri azzurri, all’epoca vestiti di bianco. Però, insomma: se praticamente tutti gli italiani tifavano Croazia, domenica scorsa, ci dev’essere sotto qualcos’altro, e notoriamente c’è.

ALTEZZOSI
Resta valida, scusate la banalità, la battuta di Jean Cocteau: «I Francesi sono degli Italiani di cattivo umore, gli Italiani sono dei Francesi di buon umore». Ma spiega poco. Anzitutto va detto che i francesi, tanto simpatici, a livello popolare, non lo sono a nessun popolo: chiedere agli anglosassoni, per cominciare.

Coi loro nasini all’insù e quel fare spesso altezzoso, da primi della classe, in effetti non risultano proprio ’sti gran simpaticoni. Il punto centrale è che sono un ex impero (ma con pezzetti ancora in giro, come i britannici) e la mentalità del popolo civilizzato e civilizzatore un po’ è rimasta. A buon titolo: sono una delle democrazie più longeve del mondo, e da qui deriva un loro senso civico assai più sviluppato rispetto agli italiani, che in questo hanno molto da imparare. Non è un caso che la cultura francese (lingua, cinema, storia) appassioni maggiormente una buona parte di italiani settentrionali di ceto piuttosto alto – che non detestano i francesi manco per niente – e che assieme hanno in comune una certa passione per i trends, il nobilame, ciò che pare vincente e potente, la fissa per New York (un tempo era il contrario) e altra passionalità da rampolli con la governante francese.

Più approfonditamente, c’è una rivalità economica ma che pochi conoscono, fondata sul fatto che i francesi ultimamente hanno fatto gran shopping tra le aziende italiane: si sono comprati Saiwa, Galbani, pasta Agnesi, Sangemini-Ferrarelle (quindi Fabia, Boario, Nepi) e poi San Pellegrino, Osella, Invernizzi, persino lo zucchero (Eridania è al 49% francese) e poi c’è Carrefour che si è comprata Gs, ci sono tutte le operazioni di Vivendi con Tim e Mediaset, Bnp Paribas che compra banche, nella moda abbiamo venduto ai francesi Bulgari, Fendi, Loro Piana, Bottega Veneta, Pomellato, Sergio Rossi, Brioni e Gucci. Eccetera. Molto meno approfonditamente, c’è tutto il cascame dell’ex impero. Per esempio: mediamente non parlano inglese, la Francia è uno dei Paesi europei dove si parla meno, e, anzi, molti francesi s’incazzano pure se non parli la loro lingua. È così: sono stati abituati a esportare all’estero il proprio sapere, non a importarlo. Così, rispetto alle altre culture, sono giunti a posizioni snobistiche comprensibili quanto ridicole. Anche in Amazzonia o al Polo Nord dicono «computer», loro lo chiamano «ordinateur». Anche i monaci tibetani usano il byte per indicare la capacità dei supporti informatici: i francesi si sono inventati «l’octet». Il mouse: «la souris». Il marketing: «la mercatique». Il software: «le logiciel». Il Dna: «Adn». Persino l’Aids: «Sida». Poi, se anche capiscono, soprattutto a Parigi, fanno finta di non capire. È noto. Vale anche per la lingua francese con accento «sbagliato», tipo il belga.

ORGOGLIO
E stra-vale per cose tipo la cucina. La Francia è l’icona della cucina raffinata: salsine, sapori intensi e particolari, ma alla fine un piatto internazionale francese famoso nel mondo, a ben pensarci, non c’è. C’è molto orgoglio. A livello comunitario pochi anni fa fecero un sondaggio sul Paese europeo in cui si mangiava meglio: e venne fuori che quasi tutti i francesi (che non vinsero) avevano votato per la Francia. Dopodiché è normale che con gli italiani ci sia rivalità su vini e formaggi, anche se nella cucina tradizionale non c’è gara: ma loro fanno finta di niente. Italiani? Pasta. Ma loro, a cucinarla, sono più bravi – dicono. Perché sono così. Basta che lo facciano loro e tutto diventa «superbe», «grandeur». Poi tutto inciampa su pregiudizi semplici e un po’ ridicoli. Non c’è parola francese, inserita in un discorso in italiano, che non suoni pretenziosa. E perché? Perché suonano pretenziosi loro. Scendendo di livello, c’è questa cosa che tanti francesi sembrano effemminati o mezzi froci. Perché? Perché, come tanti millenials o tanti milanesi, magari badano allo stile e per esempio usano la sciarpa o la sciarpetta, che negli Usa è un accessorio tipicamente femminile. Scendendo ancor più di livello, c’è la vecchia diceria che le donne francesi sono pelose. Da noi si fortificò con cinema modello Edwige Fenech, abituata a mostrare ogni genere di pelo; negli Stati Uniti pare che i soldati americani definissero le francesi «brutte e pelose» per non ingelosire le mogli. Pelose non so, brutte no di sicuro.

LIBERO.IT

 

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