Nomine, l’ira di Di Maio: è una scelta politica. Salvini per ora fa il pompiere
Sulle nomine il catalogo è questo: o si accetta lo «schema Tria» o si cambia Tria. Posti davanti al bivio, Di Maio e Salvini hanno avuto ieri reazioni diverse. Il primo era sull’orlo di una crisi di nervi, rivendicava «una scelta politica» sugli assetti di potere, tenendo a ricordare che «il nostro è un governo politico non tecnico». Con chiara allusione al ministro dell’Economia. Il secondo ha avuto un approccio zen, al punto che i suoi — ascoltandolo — sono rimasti disorientati: «Ma è Matteo o Arnaldo?». Perché mentre esplodeva il caso Cdp, e palazzo Chigi era costretto a smentire il vertice a quattro appena annunciato, il leader della Lega minimizzava: «Massì, c’è qualche problema di assestamento. Però al momento state tranquilli».
E al momento ha vinto lo «schema Tria», con il titolare di via XX settembre che si è potuto presentare da Conte senza dover incontrare anche i vice premier. Sulle nomine, e in particolare sui vertici di Cassa depositi e prestiti, il titolare di via XX settembre non solo ha riaffermato la procedura a cui tiene — e che prevede un rapporto diretto ed esclusivo con il capo del governo — ma ha anche ribadito la sua preferenza per una «soluzione tecnica» su Cdp. Con buona pace per Di Maio. Forte del risultato, ha potuto smentire le voci circolate nel Palazzo, prima di partire per il G20: «È falso che abbia minacciato le dimissioni. Insieme al presidente del Consiglio stiamo esaminando le varie soluzioni. E abbiamo tempo per scegliere le migliori».
In realtà il tempo è scaduto e il marasma si riflette su tutte le nomine. Ce n’è la prova, per esempio, con l’Authority dell’energia: giunta a fine corsa a febbraio, è stata prorogata. E ora — visto lo stallo — si starebbe pensando a un decreto di proroga della proroga. Nonostante un clima da stadio, Tria ha evitato di commentare lo stato delle relazioni con il vice premier grillino. «Forse sono state le tensioni sul decreto dignità a riverberarsi sul resto», ha spiegato Salvini ai ministri leghisti che gli chiedevano lumi sul rapporto tra il capo del Movimento e il responsabile dell’Economia: «E forse Tria vuole privilegiare qualche vecchia amicizia… Però un accordo lo troveremo. Anche perché con i Cinquestelle l’equilibrio lo troviamo sempre».
Senza peli sulla lingua quando parla di immigrazione e delle «strutture dello Stato» — dai vertici degli 007 a quelli dell’Inps — nel braccio di ferro sulle nomine «Matteo» agli occhi dei suoi si trasforma in «Arnaldo», cioè nell’ex segretario diccì Forlani. L’idea è di sopire, lenire, troncare. E non solo perché gli obiettivi prioritari del titolare del Viminale sono i servizi, la Rai, la flat tax e il dossier su Equitalia, ma anche perché Salvini è consapevole che Tria oggi è intoccabile. Cadesse lui, cadrebbe il governo. «Magari i problemi arriveranno più avanti», ma non adesso. Perciò nega che il ministro dell’Economia sia diventato un caso politico, lasciando a Giorgetti il ruolo del poliziotto cattivo.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha ben presente la situazione, vive quotidianamente e in presa diretta lo scontro, ed è spazientito dall’andazzo: «Dovevamo chiudere questa settimana, invece niente». E quando ieri ha constatato che si andava verso l’ennesima fumata nera, ha scaricato ogni responsabilità sull’asse Conte-Tria: «Visto che c’è una procedura sulle nomine, chiedete al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia». Ma l’epicentro del sisma non è Palazzo Chigi, perché al premier tocca solo un ruolo di raccordo. Il problema è a via XX Settembre. Così Salvini è tornato a fare il pompiere e si è messo a difendere anche il capo dell’esecutivo. Quando in Transatlantico gli hanno detto che Conte sembra un sequestrato a cui ogni tanto viene data la possibilità di apparire, ha sorriso: «Ma no… Basta. Conte è bravo, studia un sacco. Sull’immigrazione, per esempio, ci confrontiamo spesso. A volte si impunta lui, a volte mi impunto io. Però troviamo sempre una soluzione».
Lenire, sopire, troncare. Non è il momento di alimentare la tensione. Sulle nomine Di Maio ha un diavolo per capello con Tria, e nel duello — come dice Giorgetti — «noi ci dobbiamo barcamenare. Come faceva Forlani». Ecco il passato che ritorna, d’altronde sugli assetti di potere serve adottare il vecchio metodo: «È con pazienza che si arriva all’obiettivo. Sfidando l’avversario». Chi sia l’avversario Giorgetti non lo spiega, ma la contromossa sarebbe già pronta, Di Maio e Salvini l’avrebbero concordata: azzerare tutti i nomi e ricominciare da capo.
CORRIERE.IT
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