“Dimenticanze” di Stato. Ci sono uomini e donne delle istituzioni che sapevano della trattativa fra alcuni carabinieri del Ros e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, ma si sono guardati bene dal parlarne per quasi vent’anni. Le motivazioni della sentenza “Trattativa”,
depositate ieri, criticano pesantemente le “eclatanti dimenticanze”, ma anche la “deposizione sorprendente” di un’amica storica di Giovanni Falcone, Liliana Ferraro, che prese il posto del magistrato ucciso all’ufficio Affari penali del ministero della Giustizia. “Avrebbe potuto fornire tempestivamente ed in modo assolutamente spontaneo informazioni che erano dirette a meglio ricostruire quel contesto che ha preceduto e seguito le stragi di Capaci e di via D’Amelio”. Nel giugno 1992, il colonnello Mori era andato a trovare Liliana Ferraro al ministero per chiedere “copertura politica” al dialogo segreto che i carabinieri stavano intrattenendo con Ciancimino. Uno snodo per la ricostruzione dei giudici, perché smentisce quello che Mori e De Donno hanno sempre sostenuto: l’interlocuzione con Ciancimino non fu il semplice contatto con un confidente, ma una vera e propria trattativa con Cosa nostra. I giudici bacchettano “l’evidente tentativo di Liliana Ferraro di minimizzare gli approcci del Ros con Ciancimino” e ricordano che solo il 14 novembre 2009 l’ex capo degli Affari penali ha parlato con la magistratura, “dopo che ne aveva riferito l’ex ministro Martelli”. L’ex ministro della Giustizia non aveva mai parlato col Ros, ma aveva saputo da Liliana Ferraro. Pure Martelli si è ricordato di riferirne tanti anni dopo.
Oggi, sappiamo che all’epoca la dottoressa Ferraro invitò comunque Mori a parlare subito con i magistrati di Palermo, poi lei stessa accennò del dialogo con Ciancimino a Borsellino, durante un incontro in aeroporto. Ma cosa seppe davvero Borsellino della trattativa? E come provò a fermarla? I collegio presieduto da Alfredo Montalto (a latere Stefania Brambille) ipotizza che la morte del magistrato fu “accelerata” da Riina, forse proprio perché Borsellino voleva opporsi al dialogo segreto fra pezzi dello Stato e vertici della mafia.
Nel capitolo degli smemorati di Stato viene inserita anche Fernanda Contri, all’epoca segretario generale della presidenza del Consiglio. Pure lei seppe dai carabinieri. E pure lei ha parlato con tanti, troppi anni di ritardo, dopo che il caso Trattativa era stato aperto dal supertestimone Massimo Ciancimino. “Supertestimone” all’epoca, perché adesso viene bollato dai giudici come “del tutto inattendibile”. Ma, ironia della sorte, nel 2009, bastò l’annuncio delle sue dichiarazioni, che alcuni rappresentanti dello Stato si presentarono di corsa alla procura di Palermo. “Le dichiarazioni di Ciancimino – è scritto nella sentenza Trattativa – hanno fatto recuperare la memoria a molti esponenti delle istituzioni (da Claudio Martelli a Liliana Ferraro al presidente della commissione antimafia Violante al ministro Conso)”.
Su Conso, che non prorogò trecento decreti di carcere duro nel 1993, i giudici di Palermo rilevano “l’assoluto evidente (e appariscente) contrasto fra le prime dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria nel 2002 quando ancora il tema trattativa non era salito alla ribalta delle cronache con le altre sue dichiarazioni del 2009″.
Anche l’allora presidente della commissione antimafia Violante ricevette una visita dei carabinieri del Ros, che lo informarono del dialogo segreto con Cianciminio. Anche Violante “per molti anni ha taciuto”, accusa la sentenza.