Legge di stabilità, è scontro sull’Iva. Ora Giorgietti non esclude l’aumento

roberto giovannini, ilario lombardo
roma

Da una parte Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i due leader, categorici nell’escludere un aumento dell’Iva. Dall’altra il ministro Giovanni Tria e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, leghista sì ma realista e pragmatico. Al vertice di governo va in scena la divisione fra due “filosofie” opposte, un primo assaggio di quella che sarà la vera trattativa sulla legge di Stabilità. «Siamo il governo del cambiamento – scandisce Salvini rivolto a Tria – e non possiamo certo iniziare aumentando l’Iva». Parole simili a quelle che pronuncia Di Maio davanti ai giornalisti, uscendo dal summit: «L’Iva non deve aumentare: lo abbiamo promesso e non aumenterà».

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Tutt’altra musica era stata quella suonata da Giancarlo Giorgetti poche ore prima, quando aveva fatto capolino al brindisi offerto dal premier Conte ai giornalisti. Ai cronisti che gli chiedevano delle ipotesi che circolano insistentemente sugli aumenti selettivi sull’Iva, Giorgetti replicava chiaro e tondo che «anche l’Unione europea potrebbe chiederci di aumentare la tassazione indiretta». Giorgetti ha letto l’intervista al «Sole 24Ore», in cui il ministro Giovanni Tria dice che il governo sta lavorando su simulazioni basate sulla mancata attivazione delle clausole di salvaguardia, ma senza escludere «un riordino per semplificare alcune aliquote: ipotesi che producono piccoli aumenti di gettito e altre qualche riduzione». Peraltro, anche la Banca d’Italia vedrebbe di buon occhio lo spostamento del peso dalle imposte dirette a quelle indirette; e la stessa cosa pensano al Fmi e all’Ocse. Tria nell’intervista esprime cautela, ma da economista sa bene che per fronteggiare spese importanti – come quelle per realizzare flat tax e reddito di cittadinanza – ricorrere all’Iva darebbe certezza ai conti.

 

Tra le molte ipotesi tecniche allo studio del Tesoro, in effetti, c’è anche un progetto per intervenire in modo articolato sulla imposta indiretta più importante. Ad esempio, con una riduzione delle aliquote Iva che gravano su generi di consumo di massa, come l’energia elettrica e l’acqua (oggi al 10%) ma anche gas e telefono (oggi tassati al 22%). Per queste voci sarebbe possibile – e anche abbastanza «popolare» – scendere all’aliquota minima del 4%. In tutti gli altri casi, invece, si accetterebbe l’aumento delle aliquote – rispettivamente, dal 10 all’11,5%, e dal 22% al 24,2% – previsto dalle cosiddette «clausole di salvaguardia». Tirando le somme, per far quadrare i conti con Bruxelles basterebbe reperire nelle pieghe del bilancio pubblico 4,5 miliardi, invece dei 12,5 miliardi necessari a una sterilizzazione completa dell’aumento Iva. Altri schemi, poi, prevedono anche un intervento per ridurre le accise che gravano sulla benzina.

 

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Sul resto della manovra Giorgetti pare scettico, consapevole che i margini per riforme radicali in questa legge di Stabilità sono pochi. «Non credo riusciremo a fare granché sulla Fornero», ammette. Né la cancellazione, né la sua revisione totale, annunciata in campagna elettorale da entrambi i partiti di maggioranza. Resta in piedi «quota 100» come unica alternativa, pienamente sulla linea del ministro dell’Economia Tria, che si limita a parlare di interventi previdenziali «che non incidano in modo troppo pesante sulla spesa a medio e lungo termine». Per andare in pensione servirà un minimo di 64 anni di età, e sarà possibile inserire solo due anni di contributi figurativi. Già così la misura costa circa 4 miliardi.

 

 

Per far quadrare i conti, e avviare (in versione molto lontana dalle promesse elettorali) flat tax e reddito di cittadinanza, il governo certamente metterà mano a quelle che sono chiamate le «tax expenditures», ovvero le agevolazioni fiscali. Sono tantissime, 468: accanto a molte sconosciute ai più o super-settoriali, ce ne sono tante che – se eliminate – potrebbero dare cospicui risparmi. Certamente, pagando un costo politico, con la protesta degli interessi di volta in volta toccati. Il ministro Tria fa sapere che le imprese pagheranno dazio, ma che nel mirino c’è anche il bonus Renzi da 80 euro. «Crea complicazioni infinite», dice, promettendo però che «il sistema va rivisto con la garanzia che nessuno perda nel passaggio dal vecchio al nuovo».

LA STAMPA

 

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