Palermo, fratturavano gambe e braccia a vittime consenzienti per truffare le assicurazioni
Una storia di disperazione e miseria, gente disposta a farsi fratturare una gamba o un braccio, in qualche caso a farsi anche procurare danni irreversibili, con l’amputazione di un arto. Tutto per un tozzo di pane, 3-400 euro e la promessa di altri soldi, che però non arrivavano mai. Mentre le assicurazioni pagavano risarcimenti cospicui per incidenti del tutto inventati.
La banda sgominata oggi dalla Squadra mobile di Palermo reclutava le proprie vittime tra i disperati della città: disoccupati, gente che aveva perso il lavoro, tossicodipendenti, alcolisti, migranti. “Vi diamo l’opportunità di guadagnare qualcosa”, dicevano gli uomini del clan, ma in cambio pretendevano di procurare danni fisici pesantissimi, provocati anche con l’urto dei dischi di ghisa o di ferro che si applicano ai bilancieri delle palestre. C’era così chi doveva camminare per mesi con l’aiuto delle stampelle e chi finiva sulla sedia a rotelle per mesi. E chi, come Hadry Yakoub, un giovane tunisino di 22 anni, perse la vita.
Era il 9 gennaio 2017 quando in via Salemi, a Brancaccio, Yakoub fu ritrovato senza vita sul ciglio della strada: un incidente, si ipotizzò, causato da un pirata che poi era fuggito. Il migrante era privo di documenti e ci vollero un paio di giorni per identificarlo: lo fece la compagna e fu eseguita l’autopsia. Che non convinse affatto né gli investigatori della Mobile, diretta da Rodolfo Ruperti, né il pm Gianluca De Leo. Partirono analisi dei tabulati dei cellulari, intercettazioni e pedinamenti, si scoprì così un mondo fatto di diseredati disposti a tutto. Alcuni di loro vennero individuati e, interrogati, ammisero i fatti.
Un’infermiera dell’ospedale Civico, Antonia Conte, avrebbe somministrato dosi di anestetico per lenire il dolore: rimedio rudimentale e quasi mai efficace, ma la banda aveva la necessità di colpire durissimo per rendere “convincenti” i referti da far poi esaminare dai medici delle compagnie assicurative, truffate e costrette a pagare premi che in media erano di 100-150 mila euro l’uno. A Palermo si è passati dai referti truccati agli episodi di autolesionismo fino alle fratture provocate con corpi contundenti. Per evitare di finire nelle reti in cui erano caduti, prima di loro, gli altri truffatori, i componenti del gruppo avrebbero puntato proprio sulla violenza estrema e sull’efferatezza, con la convinzione che nessuno avrebbe mai creduto che qualcuno accettasse di farsi menomare in quel modo.
I fermi, decisi per motivi di urgenza dalla Procura per impedire che continuasse lo scempio dei corpi di poveri e disagiati, riguardano Giuseppe Burrafato, di 27 anni; Michele Caltabellotta, considerato uno dei capi del clan, di professione perito assicurativo, di 45 anni; l’infermiera Antonia Conte, di 51 anni; Michele Di Lorenzo, di 36, Francesco Faija, di 37, Isidoro Faija, di 35, Salvatore La Piana, di 49, Francesco Mocciaro, 50 anni, Giuseppe Portanova, 41, Antonino Santoro, 47 anni e Massimiliano Vultaggio, di 48.
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