Crisi lira turca, Borse in rosso | Erdogan: “Cambiate dollari nella nostra moneta”
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha denunciato “campagne” internazionali per colpire il Paese, invitando i concittadini a non farsi prendere dal panico per il crollo della lira. “Non dimenticate che se loro hanno i dollari, noi abbiamo la nostra gente, il nostro Allah“, ha sottolineato chiedendo di cambiare dollari per sostenere “la valuta turca” (svalutatasi fino al 17% sul dollaro.) In rosso le Borse europee e quella di Istanbul.
Borsa Istanbul sprofonda a -8,8%, recupero nel finale – Altra giornata difficile, dunque, per la Borsa di Istanbul. L’indice Bist 100 è arrivato a cedere fino all’8,8% (il crollo più rilevante da due anni, dopo il fallito colpo di Stato del 2016) per poi recuperare nel finale di seduta chiudendo in perdita del 2,3%. La lira turca è scesa del 16% a 6,6 contro il dollaro. Sul reddito fisso il bond governativo a dieci anni ha toccato il massimo storico, con il rendimento schizzato al 22,82% rispetto al precedente 18,85%.
Piazza Affari e le altre piazza scontano l’effetto Turchia – L’effetto Turchia si è abbattuto anche su Piazza Affari che, al termine delle contrattazioni, ha registrato un -2,51%. Male anche gli altri listini, con Parigi che ha perso l’1,59% a 5.414 punti, Francoforte l’1,99% a 12.424 punti, Londra lo 0,97% a 7667 punti e Madrid l’1,56% a 9602 punti.
Tensione Usa-Turchia – La discesa della moneta turca si spiega, in parte, per le preoccupazioni per un’eccessiva esposizione dei creditori della zona dell’Ue, come rivelate dal Financial Times, ma anche per le crescenti tensioni tra Ankara e Washington. Il mercato dei cambi ha, infatti, penalizzato la lira dopo la visita di una delegazione turca a Washington, guidata dal viceministro degli Esteri Sedat Onal.
Il governo turco sperava che questo incontro sarebbe servito ad avvicinare le parti su una serie di questioni che stanno incrinando i rapporti tra gli Stati Uniti e la Turchia, inclusa la detenzione del pastore americano Andrew Brunson (accusato di aver partecipato al tentativo di golpe del 2016, accuse respinte dagli Usa) e l’ipotesi di sanzioni contro Ankara.
Erdogan: “Cambiate le valute estere” – Parlando a Bayburt, nel Nord-Est del Paese, Erdogan ha quindi sollecitato i suoi concittadini a cambiare le loro valute estere per sostenere la lira turca. Il presidente ha sottolineato poi che è in corso una “lotta nazionale” contro la “guerra economica” dichiarata nei confronti di Ankara. “Se avete dollari, euro o oro sotto il vostro cuscino, andate in banca per cambiarli con delle lire turche. E’ una lotta nazionale”.
Trump annuncia raddoppio dazi su alluminio e acciaio dalla Turchia – A rendere la situazione ancora più difficile, è arrivato poi l’annuncio del presidente Trump. “Ho autorizzato il raddoppio dei dazi su acciaio e alluminio della Turchia, visto che la loro valuta, la lira turca, è scesa rapidamente contro il nostro dollaro forte! L’alluminio sarà ora al 20% e l’acciaio al 50%. I nostri rapporti con la Turchia non sono buoni, al momento!”, così su Twitter.
Ankara: risponderemo ai dazi di Trump – Non si è fatta attendere la risposta di Ankara al raddoppio dei dazi su alluminio e acciaio Il ministero degli Esteri turco ha infatti fatto sapere che risponderà con misure di rappresaglia, sottolineando inoltre che l’iniziativa americana non è da “Stato serio”.
Banche italiane esposte per 15 miliardi di euro – Le banche italiane sono esposte per quasi 15 miliardi di euro (16,9 miliardi di dollari) verso la Turchia, e salgono a 16 se si includono le garanzie. E’ quanto emerge dai dati della Banca dei regolamenti internazionali, che funge da “banca centrale delle banche centrali”. Gli istituti di credito del nostro Paese vengono dopo la Spagna (71 miliardi di euro), la Francia (33 miliardi), la Gran Bretagna (16,5 miliardi) e gli Stati Uniti (15,6) oltre alla Germania (14,8 miliardi). In totale l’esposizione delle banche internazionali verso la Turchia è pari a 264,9 miliardi di dollari.
Italia partner importante, scambi per 20 miliardi di euro – Dalle banche alle infrastrutture, dalle auto alle autostrade: la Turchia è da anni un mercato importante per le imprese italiane, con un interscambio totale che sfiora i 20 miliardi di euro e investimenti notevoli di gruppi come Pirelli, Fiat e, da alcuni anni, Unicredit. Un “mercato prioritario” per l’export italiano lo definisce la Sace, la società di assicurazioni degli esportatori. Inevitabile dunque che si senta anche in Italia l’impatto della crisi finanziaria che colpisce il Paese.
Unicredit è azionista di peso di Yapi Kredi, con una quota dell’81,9% detenuta attraverso la joint venture paritaria con Koc Group. Fca è presente da decenni con lo stabilimento di Bursa-Tofas (Instanbul), con decine di migliaia di veicoli prodotti. Da cinquant’anni è in Turchia anche Pirelli, che ha concentrato la produzione nello stabilimento di Izmit, a 100 chilometri da Istanbul, costato 170 milioni di euro di investimenti negli ultimi anni, la produzione di due milioni di pneumatici industriali l’anno destinati ai mercati di Europa, Medio Oriente e Africa. Cementir ha investito in Turchia dal 2001 oltre 530 milioni di dollari acquisendo Cimentas e Cimbeton. Anche Leonardo, tramite Alenia Aermacchi, è in qualche modo toccato dalla crisi turca in quanto contribuisce alla produzione dell’F-35 (che vede 30 ordini dalla Turchia con opzione per altri 70 velivoli) e partecipa a una commessa importante, 30 elicotteri da parte di Turkish Aerospace al Pakistan.
Tanti i progetti italiani in Turchia, a partire dal comparto infrastrutture-costruzioni-logistica: come quelli di Salini Impregilo nella costruzione di due autostrade, la Kinali-Sakarya e la Tarsus-Adana-Gaziantep, in un impianto idroelettrico, nella linea ad alta velocita’ che collega Ankara ad Istanbul, nella depurazione delle acque a istanbul. E poi c’è l’export dell’Italia, nel 2017 quinto partner commerciale con 19,8 miliardi di dollari di interscambio totale (+11,1% rispetto al 2016), di cui 11,3 miliardi di dollari in esportazioni e 8,5 miliardi di dollari in importazioni e una quota di mercato del 5,1%.
TGCOM