Saviano: “Ministro Salvini ecco perché la sua Lega non ha capito la ’ndrangheta”

di ROBERTO SAVIANO

Fa bene, ministro Salvini, ad andare a San Luca e a visitare il santuario della Madonna di Polsi. Fa bene ad andare nel luogo dove risiede la spiritualità calabrese più antica, infettata da secoli dalla radice ‘ndranghetista. Fa bene ad andare nel cuore dell’Aspromonte e la prima parola che dovrà pronunciare è: “Scusatemi”. Chieda scusa, ministro, in nome di un partito che ha governato nei territori settentrionali maggiormente infiltrati dalle mafie senza mai chiudere le porte al potere criminale nel Nord Italia. Lo faccia per tutti gli anni in cui il suo partito ha negato l’esistenza delle mafie al Nord, credendo fosse un fenomeno nato da terroni corrotti e incivili, circoscritto all’arretrato Meridione.

Per anni lei in prima persona e il suo partito avete commesso il più pericoloso dei crimini: colpevolizzare indistintamente l’intero Sud significava isolare la parte sana che era la parte maggiore, rendendo difficilissimo riconoscere il problema. E mentre vi esibivate in un profluvio di accuse e insulti verso i “terroni tutti mafiosi”, marchiati come portatori di corruzione e sperperatori di denaro pubblico, distoglievate l’attenzione dalla vera questione mafiosa che era tutta di natura economica e ben lontana dal Sud. Chieda scusa per aver criminalizzato tutti i meridionali per anni, mentre l’imprenditoria settentrionale stringeva accordi con imprese controllate da ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. La vostra incompetenza non vi faceva vedere che i soldi delle mafie meridionali andavano in soccorso delle imprese del Nord.

Mentre tutto questo accadeva lei e i suoi parlavate di secessionismo attaccando i meridionali che studiavano nelle università settentrionali, che lavoravano nelle fabbriche lombarde, piemontesi, che costruivano condomini in Emilia Romagna. Chieda scusa. A Polsi si rechi dinanzi all’Albero della scienza, lì dove gli ‘ndranghetisti si riunivano per celebrare riti e giuramenti durante i quali venivano concesse le nuove cariche ai membri dell’organizzazione, le “doti”. Negli ultimi anni le doti sono state concesse anche in Lombardia, diventata ormai a tutti gli effetti terra di ‘ndrangheta. Sono ambiziosi questi ‘ndranghetisti del Nord, tanto che nel 2009 il boss Carmelo Novella, capo della ‘ndrangheta in Lombardia, venne ucciso per le sue mire secessioniste (eh sì, anche la ‘ndrangheta ha avuto il suo periodo secessionista): compare Nuzzo voleva che l’organizzazione lombarda, potentissima sul piano economico, divenisse indipendente rispetto alla casa madre di San Luca e si era messo a distribuire cariche senza il consenso della base calabrese. Tutto questo lo ignora, come ignora la maggior parte di ciò di cui parla apprendendolo per sentito dire, lo stesso metodo approssimativo lo usa sulle mafie.

Si ricorderà le fiaccolate leghiste contro il soggiorno obbligato dei boss al Nord, considerato l’origine di tutti i mali, il vettore dell’esportazione del virus criminale, ignorando completamente che la potenza mafiosa al Nord risiedeva nell’interlocuzione politica e imprenditoriale, terreno fertile indispensabile per l’attecchimento delle mafie. Per anni l’antimafia leghista è stata questo, una lotta contro il soggiorno obbligato, già allora considerata da molti giudici solo una battaglia ideologica. La Lega faceva affari con quelli che considerava “invasori” e dietro al grido di “Roma ladrona” faceva sparire 49 milioni di rimborsi elettorali. 49 milioni di soldi pubblici. Come sono stati spesi? Segua le condanne e le inchieste giudiziarie, la Lega quei soldi li ha riciclati grazie alla mediazione di Romolo Girardelli, uomo della cosca De Stefano di Reggio Calabria, i soldi sono finiti in paradisi fiscali a Cipro e in Tanzania.

Ma proprio in quel frangente lei, ministro, ha capito che la caduta giudiziaria dei vecchi dirigenti della Lega poteva favorirla, ma aveva bisogno di allargare il consenso. D’improvviso, quei meridionali ladri e mafiosi che insultavate sono tornati utili perché con i voti del solo Nord non si può governare tutto il Paese. Pecunia non olet, e neanche i voti puzzano. Nemmeno quelli dei meridionali. Non deve aver causato poco disorientamento nella base questo cambio di rotta, che però è stato colmato prontamente sostituendo il vecchio nemico con uno nuovo: fuori i meridionali, dentro gli immigrati.

Ora deve sapere che le mafie non hanno paura dei suoi tweet, l’unica cosa che temono è la luce. Luce sui loro affari, luce sul loro potere. E lei o non conosce o mente sapendo di mentire. A San Luca, ministro, si faccia accompagnare nel palazzo sequestrato ad Antonio Pelle “Gambazza”, lì vedrà tutta la forza del potere ‘ndranghetista: un enorme palazzo di cemento armato, sequestrato e abbandonato ormai da un decennio, sulle cui pareti non troverà alcun alone di umido, perché sono state costruite in modo impeccabile. Impermeabili, come impermeabili sono le mafie alla fuffa propagandistica. No, Salvini, la retorica de “la mafia mi fa schifo” urlata sui social e a ogni visita al Sud non serve proprio a nulla, se non è accompagnata da competenza e azioni concrete. Persino Michele Greco detto “il Papa”, storico boss della commissione di cosa nostra, lanciava anatemi contro le mafie dichiarando “la violenza non fa parte della mia dignità” e poi approvava ordini di esecuzioni. Le mafie sanno bene che una cosa sono i proclami da regalare all’opinione pubblica per avere consenso, altra cosa è l’operatività.

La ‘ndrangheta non ha colore né partito, segue e interloquisce con tutti coloro che sono utili per ottenere favori, soldi, maggiore potere. Come ha svelato l’inchiesta “Infinito” della Dda di Milano e di Reggio Calabria, l’allora assessore provinciale leghista Angelo Ciocca incontrava l’avvocato e boss Pino Neri, membro della locale di ‘ndrangheta di Pavia, condannato tre anni fa in Cassazione a 18 anni di carcere. Un video dei carabinieri li immortalò nel 2009, prima delle elezioni comunali a Pavia, e secondo gli inquirenti l’argomento della conversazione erano i pacchetti di voti da destinare a un candidato prescelto dalla ‘ndrangheta, Francesco Rocco Del Prete.

La sento già ribattere che Angelo Ciocca per questo non è stato indagato. Certo, è così, ma l’inchiesta mostrava come il boss Neri cercasse l’interlocuzione con un politico leghista affinché lo aiutasse a piazzare in Comune un nome gradito, offrendogli in cambio un appartamento a un prezzo agevolato. “Questa è storia che non mi riguarda”, immagino stia per dire. Non è così, la riguarda eccome. I fili che legano ‘ndrangheta e Lega sono molteplici e non si identificano solo nelle sentenze di condanna. Giacinto Mariani, il suo “ambasciatore” in Brianza – come l’ha definito Fabrizio Gatti che si è occupato di lui sull’Espresso – è stato sindaco di Seregno per due mandati. Lei l’ha sostenuto nella sua corsa alle amministrative e Mariani ha fatto campagna elettorale nelle sue zone per lei alle politiche. È diventato poi vice del suo successore, Edoardo Mazza (in quota Pdl), il sindaco che scriveva su Facebook “la mafia si combatte con i fatti”. Entrambi, sia il sindaco Mazza sia il vicesindaco Mariani (e altri dirigenti comunali), sono stati coinvolti in un’indagine della Procura di Monza del settembre 2017 per abuso d’ufficio.

L’accusa è di aver elargito favori urbanistici a un costruttore in contatto con la ‘ndrangheta, Antonino Lugarà (un uomo che, come è stato svelato dalle intercettazioni, chiedeva favori anche al nipote del boss Giuseppe Morabito “U Tiradrittu”, capo della potente ‘ndrina di Africo). Saranno i giudici a stabilire eventuali responsabilità delle persone indagate, ma seguendo i rapporti societari di alcuni personaggi coinvolti in questa inchiesta si scoprono coincidenze curiose. Coincidenze che voglio ricordarle proprio mentre lei sta andando a San Luca. L’ormai ex vicesindaco Giacinto Mariani risulta, infatti, tra i soci della discoteca “Molto Club” e del ristorante “Mucho Mas”, entrambi in Brianza. Ebbene, otto dei soci di Mariani nel “Molto Club” e sette nel “Mucho Mas” risultano anche proprietari di un altro locale, il “Noir” di Lissone (Mb), dove – come emerge dall’inchiesta “Infinito” – gli ‘ndranghetisti della zona trascorrevano spesso le loro serate, perché per loro le serate erano gratis. Come si legge nella sentenza, infatti, “i titolari dei locali da loro frequentati li conoscevano e nessuno pretendeva che pagassero (…) Peraltro, i gestori di questi locali (ad esempio quelli del “Noir” e del “Dejà vu”) da ciò traevano anche beneficio, perché potevano contare sulla loro protezione: quando avevano problemi con gli avventori o con malavitosi non contattavano certamente le forze dell’ordine, ma gli affiliati, che intervenivano immediatamente in loro ausilio”.

Qui arriva, ministro, un’altra coincidenza, proprio al “Noir”, locale in cui gli ‘ndranghetisti di Seregno trascorrevano le loro serate gratis in cambio di protezione, il 2 marzo 2018 ha chiuso la campagna elettorale della Lega in Lombardia l’on. Paolo Grimoldi, deputato e segretario nazionale della Lega Lombarda, un tempo suo compagno di stanza a Roma. Nessun reato a chiudere in quella discoteca la campagna elettorale, ovviamente, ma rilegga quanto ho scritto: non vede una vicinanza di luoghi e persone che spaventa e che fa capire quanto la mafia sia presente in Brianza, uno dei territori che per anni ha millantato di essere immune dal fenomeno mafioso e da decenni è gestito dalla Lega? È la Brianza che negli ultimi 23 anni è stata interessata da 16 inchieste antimafia e la Lega non ha – se non con proclami – fatto da scudo al capitalismo criminale, anzi, in molti casi è stata complice. Sotto la gestione politica della Lega la Brianza è diventata una contea mafiosa. Chieda scusa anche di questo a Polsi. Non le lasceremo sporcare con la propaganda l’impegno antimafia di magistrati, forze dell’ordine, giornalisti e associazioni. Ha fatto bene ad andare a San Luca. Ma per favore, questa volta non faccia come a Rosarno, dove su quasi 27 minuti di comizio ha dedicato solo 40 secondi alla ‘ndrangheta (di cui alcuni impiegati a urlare il solito – cito testualmente – “a me la ‘ndrangheta fa schifo”) e ha invece dichiarato pubblicamente che il vero problema del paese è la baraccopoli (che tra l’altro esiste non perché ci sono braccianti africani, ma perché le mafie indisturbate continuano a gestire il loro lavoro di schiavi).

Come hanno denunciato Giovanni Tizian e Stefano Vergine, il responsabile della sezione locale leghista di Rosarno, Vincenzo Gioffrè, che è stato tra gli organizzatori del suo comizio post-elettorale nel liceo del paese, ha fondato una cooperativa agricola (chiusa nel 2013 per mano del ministero dello Sviluppo economico) con Giuseppe Artuso, il quale secondo la Procura antimafia di Reggio Calabria sarebbe molto vicino alla potente cosca dei Pesce. Gioffrè, l’uomo della Lega in Calabria, ha creato anche un consorzio di cooperative agricole che ha avuto come presidente del cda Antonio Francesco Rao, un personaggio che, come risulta dagli atti giudiziari, sarebbe vicino al clan Bellocco, ‘ndrina alleata dei Pesce. Non solo: il segretario regionale della Lega in Calabria, Domenico Furgiuele, che ora siede come deputato in Parlamento, è stato amministratore unico di una delle società del suocero, Salvatore Mazzei, che è stato condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Solito gioco, ministro, per propaganda proclamare che la ‘ndrangheta fa schifo ma poi il partito per necessità agisce in tutt’altro senso. Ministro, rispondere “io non c’entro… io non so…” è solo semenza per i suoi squadristi da web, ma non convincerà nessun altro. Mi raccomando, Salvini, questa volta non dica che il problema di San Luca sono le ormai caratteristiche abitazioni che non vengono mai portate a termine lasciando spuntare piloni di ferro dal cemento (anche se, studiando la questione, potrà scoprire che anche quell'”architettura del non-finito” ha un significato e un senso tutt’altro che estetico). Smetta di fare propaganda, ministro. È questo il suo impegno antimafia? Sappiamo già cosa aspettarci per il futuro: arresti del segmento militare, qualche sequestro di villa, mentre imperi economici e alleanze imprenditoriali e politiche rimarranno intatte. Ma su questo avremo modo di giudicare il suo lavoro nel prossimo futuro. Dopo San Luca, vada anche a Platì, ad Africo, a Natile di Careri: capirà chi comanda a casa sua. Vedrà come un territorio abbandonato da investimenti, lasciato immerso nella disoccupazione, dissanguato dall’emorragia dell’emigrazione sia divenuto uno dei territori più ricchi d’Europa ma di una ricchezza di rapina, che non crea scuole, che non crea palestre, che non crea piazze, che non genera musica, ricchezza che le cosche nascondono nei paradisi fiscali, gli stessi dove finirono i soldi della Lega. Si fermi dinanzi la casa di Corrado Alvaro, scrittore in grado come nessuno di mappare, capirà dalle sue pagine ciò che hanno dovuto subire le genti delle Calabrie e come l’emigrazione, spesso clandestina, disperata, sia stata l’unica possibilità di salvezza per migliaia e migliaia di calabresi emigrati ovunque ci fosse una costa da raggiungere.

Vada Salvini e chieda scusa per tutto quello che la Lega continua a non fare.

Poi visto che si trova da quelle parti vada a Riace e veda come un sindaco coraggioso sia riuscito accogliendo migranti a rilanciare un territorio in ginocchio a cui nei fatti erano stati tolti diritti civili, veda come un territorio ai margini della democrazia da sempre sotto la dittatura mafiosa sia riuscito a rinascere contando sul talento dei calabresi e dei nuovi calabresi migranti.

Vada e apprenda.

Forse, per chi ci crede, la Madonna della Montagna potrà fare il miracolo e farle cambiare passo conoscendo de visu queste realtà. Da parte nostra può stare sereno, le promettiamo che non le daremo pace. Smonteremo ogni sua propaganda, menzogna dopo menzogna, fake news dopo fake news. Ci saremo, sempre.

REP.IT

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