Giù le mani dal Paese che produce
È noto che il nostro capitalismo non sia tra i migliori al mondo, così familiaristico e incline all’assistenzialismo.
Ma i nostri imprenditori, pur con tutti i loro difetti, restano comunque l’architrave su cui si regge il paese. Parliamo di tre milioni di persone che si arrabattano, chi con bravura e chi con furbizia, per mandare avanti le loro aziende. Uno dei loro capi, il numero uno di Confindustria e mite napoletano Vincenzo Boccia, in una intervista al Messaggero, ha usato inaspettatamente toni durissimi contro la sciagurata politica economica di questo governo arrivando a ipotizzare, in assenza di novità, mobilitazioni di piazza. Un vero colpo di scena, abituati come siamo all’idea di una Confindustria non controparte ma complice di sindacati e governi, non spauracchio del potere ma comoda sponda anche nelle operazioni che farebbero inorridire uno studente al primo anno di Economia e commercio.
Non so dove e perché Vincenzo Boccia abbia trovato tanto coraggio e non entro nel merito, che peraltro condivido. Dico però che le sue parole sono una boccata di ossigeno, sia pure tardiva, per l’intero sistema. Un Paese nel quale non si sente forte la voce di chi produce è un paese destinato inevitabilmente al declino. Alla politica, ovviamente, sta il compito di decidere in autonomia «nel nome del popolo». Ma se la politica, come nel caso di questo governo, prende decisioni punitive per gli imprenditori deve poi assumersene tutte le responsabilità nei confronti del medesimo popolo. Perché del «popolo» fanno parte non solo gli ultimi, i mediocri e gli incapaci ma pure i primi, i secondi e i terzi, cioè quella classe sociale che un tempo si definiva con orgoglio «borghese» e che dopo il Sessantotto si è ritirata, per paura e viltà, nel suo privato accettando qualsiasi compromesso pur di non avere altre rogne.
Ora Di Maio dirà che con il suo avvento non comandano più le lobby e che quindi Confindustria deve solo stare zitta. Che è esattamente quello che dicevano i suoi predecessori, altro che governo del cambiamento. Se Confindustria, rompendo una troppo lunga tradizione, decidesse di tornare a dare voce al Paese reale troverebbe in noi un alleato. Non sono certo, conoscendo come gira il mondo, che Boccia possa e voglia andare finalmente fino in fondo come fecero i quadri della Fiat negli anni bui del caos sociale post-sessantottino. Spero di sbagliarmi.
IL GIORNALE