Terremoto, l’Italia trema dall’Emilia all’Etna. “Potrebbero arrivare altre scosse”
«Sui 300mila chilometri quadrati di superficie del nostro Paese, ce ne sono almeno 50-60mila di territorio a pericolosità sismica elevata. Quasi tutta la nazione è geologicamente attiva e quindi dà sismicità, sebbene con valori di magnitudo variabili. Dobbiamo abituarci a ricordare che l’Italia sarà sempre colpita da terremoti: dobbiamo quindi fare molta più ricerca per comprendere i meccanismi della sismicità o anche avere quei parametri necessari ad adottare i migliori criteri di prevenzione antisismica sul costruito».
Così il professor Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
– Professor Doglioni, nell’ultimo decennio c’è stato un aumento delle scosse in Italia?
«Ci sono state più scosse che nel decennio precedente, però ci sono momenti nei quali la sismicità è più concentrata che in altri periodi, basti considerare il periodo tra il 1904 e il 1920 nel quale in 17 anni si sono verificate 15 scosse disastrose. Nel nostro Paese ci sono in media 15mila terremoti all’anno, comprendendo anche quelli molto piccoli, e da venti a venticinque eventi di magnitudo tra 4 e 4.9. Il numero ovviamente oscilla e può salire fino a 30 e anche oltre 30 se ci sono delle sequenze importanti come quella di Amatrice e Norcia, ma l’ordine di grandezza è mediamente quello».
– Quante sono le faglie in Italia?
«Ci sono centinaia di faglie, che sono strutture sismogenetiche, ma solo una parte ha un potenziale sismogenetico in grado di provocare terremoti importanti. Più grandi sono le strutture, maggiore è il volume associato, maggiore è la magnitudo».
– La sequenza in atto in Molise ha legami diretti con la crisi sismica che ha interessato in questi anni a più riprese l’Appennino centrale?
– «Non ci sono legami diretti anche se fanno parte dello stesso sistema geodinamico che è la subduzione della litosfera sotto l’Appennino. La sequenza in corso in Molise ha attivato un sistema di faglie orientato circa est ovest. È generata da un meccanismo diverso, da un tipo di tettonica trascorrente, nel quale la crosta terrestre si muove in modo orizzontale tra i due lembi della faglia mentre nei terremoti più recenti in Italia centrale, come Amatrice e Norcia, uno dei due lembi della faglia scende rispetto all’altro: sono generati da faglie estensionali, che hanno un comportamento tettonico diverso e un modo di liberare l’energia parzialmente diverso».
– Quali forze sono in gioco?
«In quella zona c’è una area di svincolo che separa l’Appennino centrale da quello meridionale. Il sistema di faglie che si è attivato è vicino ma distinto dal sistema che ha generato il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002. Al momento sta rilasciando energia accumulata nei secoli scorsi».
– Ci possono essere terremoti distruttivi in quella zona?
«La sequenza è in corso in una zona che in passato, nelle vicinanze, ha dato anche dei terremoti importanti, basti pensare a quello della Capitanata nel 1627 che ha avuto una magnitudo di 6.7. E quindi dobbiamo mantenere la massima attenzione».
– Il terremoto di Reggio Emilia, due scosse a breve distanza una dall’altra, è un evento isolato o l’inizio di una sequenza?
«Tutti i terremoti possono essere isolati o evolversi in sequenze importanti. Putroppo se un evento è isolato o è un evento che anticipa una scossa più importante per il momento lo sappiamo solo a posteriori. Per questo bisogna investire nella ricerca scientifica. In ogni caso quella è una zona che ha una sismicità nota nei decenni, e non è un evento anomalo».
– Il terremoto di Reggio Emilia ha un legame con la crisi sismica emiliana del 2012?
«Sì, i due eventi registrati a nord di Reggio Emilia sono leggermente a sud-ovest rispetto a quelli del 2012. Il sistema è lo stesso, anche se la tettonica che li ha generati è leggermente più obliqua».
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