Trump, immunità per l’editore amico di Donald. E Sessions replica al presidente: non ci faremo

Tra Russiagate e sexgate. Con l’ombra delle accuse penali che chiamerebbero in causa anche la Trump Organization. Un altro uomo legato di Donald Trump è caduto nella rete dei federali, che gli hanno assicurato l’immunità nell’indagine su Michael Cohen, l’ex avvocato del presidente americano che ha ammesso di aver pagato per conto di Trump due donne con cui quest’ultimo aveva avuto relazioni sessuali. Si tratta di David Pecker, capo di American Inc, editore del National Enquirer, che, secondo una ricostruzione degli investigatori, ha pagato la storia di una delle due donne, l’ex modella di Playboy Karen McDougal, per poi non pubblicarla. Di più, secondo la Associated Press – che cita fonti informate – il tabloid scandalistico National Enquirer aveva una cassaforte dove custodiva materiale potenzialmente dannoso per Donald Trump, mai pubblicato.

Trump, immunità per l'editore amico di Donald. E Sessions replica al presidente: non ci faremo influenzare

La Playmate Karen McDougal

Pecker, riporta il Wall Street Journal, è un amico di lunga data del tycoon, e già quattro mesi fa è stato torchiato dai federali, che oggi indagano sulla violazione della legge che finanzia la campagna elettorale durante le presidenziali del 2016. Cohen ha infatti affermato che i fondi per pagare il silenzio delle modelle venivano dalla campagna per Trump, che però ha smentito. I pagamenti a McDougal, secondo l’indagine, potrebbero essere stati fatti proprio attraverso l’acquisto di quella storia, volutamente censurata.

Pecker, secondo fonti citate da Cnn, ha detto ai procuratori federali che Trump era a conoscenza dei pagamenti effettuati da Cohen alle donne che ebbero relazioni sessuali con il magnate (oltre a McDougal, anche l’attrice porno Stephanie Clifford, conosciuta come Stormy Daniels). Inoltre, ha fornito agli investigatori dettagli sui pagamenti. Trump ha più volte dichiarato di aver saputo “solo in seguito” dei pagamenti, l’ultima volta in un’intervista a Fox News in cui non ha precisato quando ne sarebbe venuto a conoscenza.

Cohen si è dichiarato colpevole martedì di otto capi d’imputazione, tra cui frode fiscale, false dichiarazioni bancarie e violazioni legate ai finanziamenti di campagna elettorale. In udienza, l’ex legale di Trump aveva detto: “Io e il ceo di una società media, su richiesta di un candidato, abbiamo lavorato insieme” per soffocare delle storie. Con quest’affermazione, ha implicato direttamente il presidente. Cohen e Pecker, secondo carte processuali citate da Cnn, avrebbero dunque lavorato per zittire potenziali accuse dannose per l’allora candidato alla Casa Bianca.

Non sono noti specifici dettagli dell’accordo che Pecker ha raggiunto con le autorità giudiziarie. Il ruolo dell’editore resta tuttavia rilevante anche alla luce del legame di amicizia con Donald Trump che risale agli anni ’90. A più riprese si sono diffuse indiscrezioni circa l’attenzione favorevole delle pubblicazioni nei confronti il tycoon negli anni, e stando al New York Times Pecker è anche stato alla Casa Bianca lo scorso anno.

Nel frattempo, sempre in relazione ai soldi pagati alla pornostar Stormy Daniels, il New York Times svela che l’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan sta valutando accuse penali contro la Trump Organization. Lo sviluppo sarebbe significativo perché il presidente, che ha sollevato la possibilità di concedere la grazia ad alcuni suoi collaboratori, non ha questo potere quando si tratta di crimini statali. Le accuse sarebbero collegate alle modalità con cui la Trump Organization avrebbe rimborsato Cohen per i 130mila dollari versati alla donna.

E ieri il ministro della Giustizia Usa, Jeff Sessions, ha replica pubblicamente al presidente Trump che era tornato a criticalo per essersi ricusato nell’inchiesta sul Russiagate. Il dipartimento di Giustizia non sarà “influenzato impropriamente da considerazioni politiche”, ha sottolineato Sessions in una nota, in una delle più dure repliche da quando un anno fa Trump ha cominciato a puntare il dito contro l’operato del ministro della Giustizia.

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