Addio a John McCain: il “leone del Senato” portato via da un tumore. “Non voglio Donald Trump al mio funerale”
di ANNA LOMBARDI
ROMA – Il leone del Senato è morto. John McCain, il veterano del Vietnam che sopravvisse ad ogni genere di orrore in sei lunghi anni di prigionia, poi diventato il repubblicano gentiluomo che non ha mai ceduto alla politica aggressiva di Donald Trump se n’è andato. Arrendendosi, per la prima volta nella sua vita: al male che gli era stato diagnosticato un anno fa. Un glioblastoma, tumore al cervello incurabile. “Con la sua consueta forza di volontà ha deciso di smettere le cure” aveva fatto sapere la moglie Cindy già giovedì scorso, facendo comprendere che la fine era vice. McCain si è arreso al male a pochi giorni dal suo ottantaduesimo compleanno, il 29 agosto. Ma non a quel presidente che non aveva mai nascosto di disprezzare. Lo ha ribadito fino all’ultimo: “Non voglio Trump al mio funerale“. Alla notizia della morte, Trump ha comunque twittato le sue condoglianze alla famiglia, mentre Barak Obama ha definito il senatore un “coraggioso”, che “ci ispira”. “Con me condivideva la fedeltà a qualcosa di più alto, ovvero agli ideali per cui generazioni di americani e immigrati hanno combattuto, manifestato e fatto sacrifici”.
John Sidney McCain III, classe 1936, il figlio e il nipote di due eroi della Marina chiamati proprio come lui – il nonno comandante dell’aviazione navale durante la battaglia di Okinawa, il padre al comando delle forze Usa in Vietnam: due ammiragli cui è dedicato perfino un cacciatorpediniere – era d’altronde una figura davvero unica nel panorama americano. Un eroe di guerra: che ha sempre applicato l’etica e il rigore militare anche alla politica.
Era già un pilota pluridecorato quando nel 1967 il suo aereo venne abbattuto sopra Hanoi. L’allora capitano McCain venne fatto prigioniero: rimanendo in una prigione vietcong per sei anni, di cui due passati in isolamento. Lì venne torturato in modo atroce: tanto che per il resto della sua vita soffrirà a causa di quei tormenti subiti senza mollare mai. Non una confessione. E a un certo punto perfino il rifiuto della liberazione: era un ufficiale e non voleva essere rilasciato mentre altri soldati semplici restavano nelle mani del nemico. Rientrerà in America solo nel 1973 dopo gli accordi di Parigi: a 37 anni e già tutti i capelli bianchi, ricevendo, a risarcimento di quegli anni orribili, le più alte onoreficenze, dalla Silver Star al Purple Heart.
Fu soprattutto grazie al denaro della seconda moglie, Cindy Hensley, figlia di un magnate della birra, che McCain ebbe accesso alla politica. Eletto nel 1982 come deputato, per poi diventare senatore nel 1987. Distinguendosi sempre come una delle personalità più autonome del Congresso anche all’interno del Partito dell’Elefante. Dopo aver fallito nel 2000, vince le primarie repubblicane del 2008 sbaragliando Rudy Giuliani – l’ex sindaco di New York oggi avvocato di Trump – e quel Mitt Romney che ci riproverà quattro anni dopo. Come sua vice sceglie l’allora governatrice dell’Alaska Sarah Palin, una decisione di cui di recente ha detto di essersi pentito.
Fu sconfitto da Barack Obama: che attaccò ferocemente sul piano politico ma non si abbassò mai a denigrarlo attraverso le fake news dei birthers, coloro che sostenevano che l’allora senatore dell’Illinois nato alle Hawaii non era americano. In tanti nel partito repubblicano non gli perdonarono infatti di aver impedito ad una sua sostenitrice di definire Obama un “arabo musulmano”. “Lei si sbaglia signora” le levò subito il microfono McCain. “Il mio avversario è un padre di famiglia, un americano per bene”.
Donald Trump non gli è mai andato giù: nel 2016 non volle concedergli il suo endorsement tanto che l’allora candidato, irato dirà: “Ma quale eroe. Gli eroi sono quelli che non si fanno catturare”. McCain gli renderà il servizio parlando in un documentario sul Vietnam “dei figli di papà che trovarono medici compiacenti per non partire”. Già malato, la cicatrice della prima operazione per sconfiggere il tumore ben in vista, prima di ritirarsi in Arizona per farsi curare volle partecipare alla votazione in Senato contro la riforma della Sanità proposta per smontare l’Obamacare, che poi naufragherà comunque per problemi interni al partito. E fino all’ultimo criticherà Trump per i suoi rapporti con Vladimir Putin. Arrivando a definire il recente incontro di Helsinki “una vergogna”.
REP.IT